Saturday 31 January 2009

300 risposte sul marketing - by Philip Kotler

I mercati e il marketing

Quali sono le macrotendenze che si profilano per il futuro?
Il paesaggio economico è stato modificato in maniera sostanziale dalla tecnologia e dalla globalizzazione. Oggi aziende di tutto il mondo possono competere ovunque, grazie a Internet e alla maggiore libertà degli scambi.
La principale forza economica è la "ipercompetizione": le aziende sono in grado di produrre più beni di quanti ne possano vendere; come risultato si hanno forti pressioni sui prezzi e una tendenza sempre più pronunciata alla differenziazione.
Tuttavia, gran parte della differenziazione è psicologica, più che reale. Anche così, il vantaggio competitivo di un’azienda non permane a lungo, in un’economia dove qualsiasi vantaggio può essere copiato rapidamente.
Le società devono prestare attenzione al fatto che i clienti sono sempre più istruiti e dispongono di strumenti migliori, come Internet, per scegliere tra una gamma più ampia di alternative.
Il potere, che dal produttore era passato al distributore, ora sta passando al cliente. Il cliente è sovrano.

Come descriverebbe, in sintesi, i processi fondamentali del marketing e la loro importanza?
I processi fondamentali del marketing sono i seguenti: (1) individuazione di opportunità, (2) sviluppo di nuovi prodotti, (3) acquisizione di clienti, (4) mantenimento e fidelizzazione del cliente e infine (5) evasione di ordini.
Un’impresa che gestisce con efficacia tutti questi processi di norma otterrà buoni risultati, ma se è carente in una sola di queste funzioni, non riuscirà a sopravvivere.

Il marketing è lo stesso per i beni di consumo, i servizi e il business-to-business?
In origine molti strumenti e concetti di marketing sono nati a partire dai problemi incontrati da aziende di beni di consumo particolarmente dinamiche. Altri strumenti sono nati dalle industrie dei beni durevoli (di consumo e industriali), delle materie prime e dei servizi.
Il modello di marketing STP (segmentazione, targeting e posizionamento) e le quattro "P" (prodotto, prezzo, punto vendita e promozione) aiutano nell’attività di analisi e pianificazione per qualsiasi mercato, prodotto e servizio. Ogni mercato, naturalmente, ha le proprie caratteristiche specifiche, che di solito richiedono ulteriori idee e strumenti. Gli operatori del settore dei servizi, ad esempio, prestano una notevole attenzione ad altre tre "P" (personale, procedure e prove fisiche) nel formulare i piani di marketing. Tuttavia, non ritengo affatto che ogni tipo di mercato (beni di consumo, industria e servizi) richieda un quadro di riferimento completamente nuovo e differente. Altrimenti bisognerebbe parlare di marketing 1, marketing 2 e marketing 3 e dare per scontato che nessun settore possa imparare da un altro.

Qual è la missione del marketing?
A questa domanda sono state date almeno tre risposte diverse.
All’inizio si riteneva che la missione del marketing fosse quella di vendere tutti i prodotti di un’azienda a chiunque.
Una seconda risposta, più sofisticata, è che il marketing si prefigge la missione di creare prodotti che rispondano alle esigenze insoddisfatte di mercati-obiettivo.
Una terza risposta, più filosofica, è che la missione del marketing è quella di innalzare il livello di vita materiale e la qualità della vita in tutto il mondo.
Il ruolo del marketing è quello di percepire i bisogni insoddisfatti delle persone e di proporre nuove soluzioni allettanti. Una cucina moderna con le sue attrezzature offre un esempio concreto della possibilità di liberare le donne dalla schiavitù di noiosi lavori di casa, affinché possano dedicare più tempo allo sviluppo della sfera intellettuale.

Quali sono i punti centrali dei Suoi discorsi sulla natura del marketing?
Molti vedono il marketing solo nei suoi aspetti tattici, vale a dire molta pubblicità e promozione vendite. Ma così vedono solo la punta dell’iceberg.Il marketing strategico è meno evidente, ma più potente. Mi sono sempre posto l’obiettivo di spiegare come funzioni veramente il mercato, per infondere concretezza alle teorie degli economisti. La mia tesi è che le aziende vincenti trasformano in vincenti anche i propri clienti. Le aziende più accorte creano costantemente nuovo valore per i clienti, sono profondamente orientate al cliente e alla soddisfazione delle sue esigenze.Inoltre, ho cercato di promuovere l’idea che il marketing sia una scienza, che le spese di marketing in parte siano investimenti, che il comportamento dell’acquirente possa essere compreso e modellato, e che aspetti quali caratteristiche e posizionamento del prodotto, prezzo, pubblicità, promozione delle vendite, servizi e sistemi di distribuzione si possano plasmare e ottimizzare grazie a rigorose analisi di marketing.

Che cos’è il marketing olistico, e in che cosa si differenzia dal marketing tradizionale? Potrebbe spiegarci brevemente in che modo il marketing olistico consente alle aziende di formulare offerte di mercato vincenti?
Nel libro Il marketing che cambia io e i miei colleghi sosteniamo che il marketing dovrebbe svolgere un ruolo guida nella strategia di business e rappresentare la forza che garantisce che la promessa del marchio venga mantenuta.
Il marketing olistico presenta quattro componenti.Occorre che l'azienda allarghi la propria visione delle esigenze e degli stili di vita della clientela.
Non dovrebbe più considerare il cliente solo come consumatore dei suoi prodotti attuali, e cominciare a visualizzare modi più completi di servire la clientela.Occorre che l'azienda valuti in che modo i vari reparti incidano sulla soddisfazione del cliente.
La consegna ritardata o il danneggiamento dei prodotti, la fatturazione poco accurata, un’assistenza carente o altri disguidi provocano reazioni negative nei clienti. Il compito del marketing è quello di indurre tutti i membri dell’azienda a “orientarsi al cliente” e a mantenere la promessa del marchio.Occorre che l'azienda valuti l’effetto delle sue azioni su tutti i suoi stakeholder (clienti, dipendenti, distributori, rivenditori e fornitori) e non solo sugli azionisti.
Il fatto di trascurare un gruppo di stakeholder può risultare devastante per i piani e i progressi aziendali. Il marketing olistico impone di coinvolgere dipendenti, fornitori e distributori in un lavoro di squadra per fornire la migliore offerta di valore ai clienti-obiettivo.Occorre che l'azienda consideri in una prospettiva più ampia il settore in cui opera, i suoi attori e la sua evoluzione.
Oggi molti settori stanno convergendo e presentano nuove opportunità e nuove minacce ai vari operatori economici.Sostanzialmente il marketing olistico è uno spostamento dall'orientamento al prodotto verso l'orientamento al cliente, dal vendere prodotti al soddisfare i clienti. È un cambiamento già in atto da qualche tempo, che si sta rafforzando. Il marketing olistico è una fase dell'evoluzione dell'architettura dell'azienda intesa a conferire un ruolo trainante al concetto di orientamento al cliente. Il marketing può funzionare solo con un approccio olistico.

Le strategie di marketing

Quali strategie di marketing funzionano meglio nel mercato attuale?
La formula per il successo del marketing strategico comprende tre elementi: focalizzazione, posizionamento e differenziazione. L’azienda deve definire con attenzione il propriomercato-obiettivo, individuare e comunicare una posizione originale e differenziare offerte e servizi affinché i concorrenti incontrino delle difficoltà nel copiarne l’insieme. In tempi recenti, i fattori chiave per il successo competitivo erano la qualità e l’assistenza, perché molte aziende non le offrivano. Oggi però qualità e assistenza stanno diventando caratteristiche comuni. Se non offre qualità e assistenza, un’azienda è destinata a perdere, ma se le offre, non necessariamente avrà successo. Questi sono aspetti ormai scontati. Oggi le aziende devono imparare a competere in modi innovativi, che comprendono la capacità di realizzare e consegnare i prodotti con maggiorerapidità, di migliorare il design e lo styling dei prodotti, di arricchire l’offerta con maggiori vantaggi e di instaurare con i clienti un rapporto di lungo terminereciprocamente vantaggioso. Ecco i tre tipi di strategie che ammiro di più.
Trovare modi innovativi di abbassare il costo della vita: IKEA, Southwest Airlines, Wal-Mart, Home Depot, Dollar General e Aldi’s.
Puntare alla massima qualità: Sony, Lexus, Intel, Starbucks.
Avere una coscienza sociale: The Body Shop, Ben & Jerry’s, Avon, Kraft.

Qual è il miglior modo di segmentare un mercato?
L’obiettivo è quello di suddividere il mercato in diversi gruppi, in base a determinate caratteristiche comuni. I metodi di segmentazione si sono evoluti in diverse fasi. Inizialmente i ricercatori hanno optato per la segmentazione demografica, data l’immediata disponibilità di dati demografici. Il presupposto era che diversi gruppi di persone, costituiti in base all’età, all’occupazione, al reddito e all’istruzione, avessero modelli di consumo diversi. In seguito i ricercatori sono passati alla segmentazionegeodemografica, aggiungendo variabili relative al luogo di residenza dei consumatori, al tipo di abitazione e alle dimensioni dei nuclei famigliari.Una volta appurato che le persone all’interno dei segmenti demografici non mostravano necessariamente i medesimi modelli di consumo, i ricercatori hanno adottato la segmentazione per gruppi di comportamento, classificando le persone in base a elementi quali la disponibilità all’acquisto, la motivazione e l’atteggiamento. Un esempio è la segmentazione per vantaggi, che raggruppa i consumatori in base al principale vantaggio che si aspettano dal prodotto. Un altro esempio è la segmentazione psicografica, che raggruppa le persone in base alle caratteristiche del loro stile di vita.
Recentemente i ricercatori si stanno orientando verso la segmentazione per fedeltà, che presta maggiore attenzione ai clienti potenzialmente più durevoli e redditizi di altri. Detto questo, la segmentazione è un’analisi finalizzata alla comprensione dei clienti, e può essere fonte di notevole gratificazione per gli esperti che per primi identificano nuove variabili per classificare i clienti stessi.

Alcuni ritengono che il posizionamento sia la fase cruciale del marketing. Lei è d’accordo?
Il posizionamento è solo una fase di un’attività di marketing efficace, che comincia con un’analisi del mercato locale per individuare i segmenti che potrebbero essere insoddisfatti delle offerte di prodotto attuali. A questo punto l’azienda sceglie dei segmenti-obiettivo ai quali proporre un’offerta superiore. Il posizionamento è la fase successiva, nella quale l’azienda comunica la propria offerta ai segmenti di mercato individuati. Va notato che, per posizionarsi, l’azienda deve prima effettuare lasegmentazione e il targeting. Ad esempio, la Volvo ha scoperto che un segmento di dimensioni rispettabili di automobilisti attribuiva un valore molto elevato alla sicurezza del veicolo, ma nessuna casa automobilistica offriva una sicurezza di livello adeguato. Così ha scelto di posizionarsi come “l’auto più sicura”.Ma non basta dichiarare come ci si vuole posizionare: la Volvo ha dovuto effettivamente realizzare l’auto più sicura, altrimenti concorrenti e clienti avrebbero scoperto il bluff. E oltre a realizzare le automobili più sicure, la Volvo deve anche progettarle in modo che trasmettano un’immagine di sicurezza superiore e siano percepite come tali. Inoltre, deve proporre ripetutamente il tema della sicurezza in tutta la pubblicità e la promozione.

Quali sono, oggi, i modi più efficaci per ottenere un vantaggio di mercato?
In passato i fattori chiave per il successo competitivo erano la qualità e l’assistenza, perché molte aziende non le offrivano. Oggi però qualità e assistenza stanno diventando caratteristiche comuni. Un’azienda è sicuramente perdente se non offre qualità e assistenza, ma se le offre, non avrà necessariamente successo. Questi fattori sono ormai scontati. Oggigiorno le aziende partecipano agli stessi seminari, dove apprendono il valore dell’analisi comparativa (benchmarking), dell’esternalizzazione (outsourcing) e della capacità di superare le offerte dei concorrenti. Tuttavia lo scenario non è mai statico, perché ciascun concorrente parte da un diverso patrimonio di risorse e opportunità. Le aziende più pronte scoprono e realizzano rapidamente dei vantaggi competitivi. Le quote di mercato si spostano a seconda dell’inventiva dei diversi attori. Prendiamo ad esempio l’industria automobilistica. Henry Ford ha fatto del costo il suo vantaggio competitivo, mentre la GM l’ha individuato nella varietà e nello stile; in seguito, Europei e giapponesi hanno individuato il loro vantaggio competitivo nella qualità. Oggi il Giappone sta lavorando alla progettazione di automobili “sensoriali”: i proprietari dovrebbero provare una sensazione piacevole semplicemente aprendo o chiudendo la portiera, o accendendo la radio. Le aziende americane e alcuni rivenditori stanno riscoprendo il potere di un’assistenza adeguata. Nessuna piattaforma competitiva funziona per sempre o per tutti i compratori. Le aziende devono imparare a competere in modi nuovi, che comprendono la capacità di realizzare e consegnare i prodotti con maggiore rapidità, di migliorare il design e lo styling dei prodotti, di arricchire l’offerta con maggiori vantaggi e di instaurare con i clienti un rapporto di lungo termine che sia reciprocamente vantaggioso. Caratteristiche nuove, un design di prim’ordine, un’estetica migliore, prodotti personalizzati, servizi più completi ed efficaci e rapporti più amichevoli con i clienti sono tutti aspetti da prendere in considerazione.

Qual è il ruolo dell’innovazione nel marketing?
Come ha detto Peter Drucker “[...] Il business ha solo due funzioni fondamentali: il marketing e l’innovazione. Il marketing e l’innovazione producono risultati: tutto il resto rappresenta costi”. Ne consegue che la formula vincente (adottata da Sony, 3M e Pfizer) è data da una grande capacità di innovazione abbinata a una grande capacità di marketing. Innovare non significa solo creare prodotti nuovi e migliori, ma anche migliorare i sistemi e introdurre nuovi concetti aziendali. Società come Ikea, Southwest Express, Virgin e Home Depot hanno inventato modi nuovi di gestire vecchie industrie, raggiungendo una posizione di leader in termini di profitti.

In che modo si può promuovere l’innovazione?
Nella maggior parte delle aziende le buone idee circolano nell’aria, ma non ci sono reti per catturarle. Per questo motivo auspico l’istituzione di un sistema di gestione delle idee, diretto da un funzionario di alto livello in collaborazione con un comitato multidisciplinare, che disponga di fondi da spendere per le idee più promettenti. Tutti i dipendentie i partner dell’azienda (ad esempio distributori, dettaglianti e fornitori) dovrebbero conoscere l’indirizzo email del funzionario responsabile e sentirsi liberi di suggerire interventi migliorativi in fatto di mercato o di costi, sapendo che le idee in grado di produrre risparmi consistenti saranno premiate.

Gli strumenti di marketing (le quattro "P")

Le quattro “P” sono ancora uno strumento utile per l’attività decisionale nel marketing?
Certamente le quattroP” forniscono ancora un utile quadro di riferimento per la pianificazione del marketing. Tuttavia, rappresentano più la prospettiva del venditore che quella dell’acquirente. Per questo si è pensato di convertirle nelle quattroC”, come segue:
prodotto = Customer value (valore per il cliente)
prezzo = Customer cost (costo per il cliente)
punto vendita = Customer convenience (convenienza per il cliente)
promozione = Customer communication (comunicazione al cliente)

Le quattro “C” ricordano che i clienti vogliono valore, costi bassi, convenienza elevata e comunicazione, non promozione.
Sono state proposte altre “P”, tra cui packaging, personalizzazione della vendita, passione e altre ancora. Effettivamente il packaging è già compreso nello schema, sotto prodotto o promozione, mentre personalizzazione della vendita e passione rientrano nella promozione.
Riguardo al marketing dei servizi sono state proposte altre tre “P”: la prima è personale, e riguarda l’impressione lasciata da chi fornisce il servizio; la seconda è procedure, in quanto uno stesso servizio può essere fornito in molti modi diversi: ad esempio, un ristorante può offrire pasti al tavolo, al buffet o con consegna a domicilio. La terza, prove fisiche, si riferisce al fatto che i fornitori di servizi cercano di conferire un carattere tangibile alle proprie offerte ricorrendo a certificati, biglietti, logo e altro.
Quanto a me, ho suggerito di includere politica e pubblica opinione (che ho definito “strumenti di megamarketing”) poiché il marketing dipende in gran parte da un governo e da un pubblico ricettivi. Ad esempio, se il governo opera discriminazioni nei confronti delle multinazionali, queste ultime saranno meno efficaci; quindi le multinazionali devono adottare tecniche di persuasione mettendo in evidenza i vantaggi offerti e i potenziali contributi forniti all’economia del paese ospitante.

Quanti canali di distribuzione dovrebbe utilizzare un’azienda?
Il numero di canali di vendita si sta moltiplicando. È possibile fare acquisti presso il punto vendita, per posta, per telefono e online. Un’azienda che utilizza un unico canale di marketing per la distribuzione dei propri prodotti dovrà affrontare la concorrenza di tutti gli altri canali. Inoltre, i prezzi possono essere molto differenti a seconda del canale. Per questo un’azienda deve scegliere con attenzione il canale che intende utilizzare per consolidare la propria presenza sul mercato. Quanto più numerosi sono i canali, tanto maggiori sono le risorse manageriali richieste e la possibilità che nascano conflitti di distribuzione e confusione. In ogni caso, è fondamentale che un’azienda sviluppi la coerenza del marchio e ne rispetti la promessa, ovunque venda i propri prodotti.

Alcuni analisti prevedono che le pubbliche relazioni cresceranno di importanza rispetto alla pubblicità. Lei è d’accordo?
Sì. In passato si è fatto un uso eccessivo della pubblicità, soprattutto quella di massa e di scarsa qualità, mentre si sono trascurate le pubbliche relazioni. Questo veicolo di comunicazione è come un palazzo con tante stanze, che ho definito PENCILS (matite) delle PR, acronimo di pubblicazioni (publications), eventi (events), notizie (news),attività sociali (community involvement), strumenti di identità (identity tools), lobbying e responsabilità sociale (social responsability). Quando un cliente vede un annuncio, sa che si tratta di una pubblicità e sempre più spesso evita di guardarla. È evidente che i clienti hanno sempre meno tempo e attenzione. Con le pubbliche relazioni aumentano le possibilità di far passare il messaggio, che può anche risultare più fresco e credibile. Le pubbliche relazioni sono più adatte per spargere la voce su un nuovo prodotto o servizio. L’interesse per le pubbliche relazioni è in aumento, come testimonia il titolo di un recente libro di Al e Laura Ries, The Fall of Advertising and the Rise of PR

La promozione vendite si presenta in una grande varietà di forme, quali sconti ai consumatori e promozioni ai rivenditori e alla forza di vendita. Come dovrebbe essere ripartito il budget tra questi tre filoni?
Lasciamo da parte le promozioni rivolte alla forza di vendita (come gare di vendita e altri incentivi), poiché rappresentano un costo limitato rispetto alle altre due forme.
Le promozioni ai rivenditori (sconti commerciali, omaggi, forniture extra e così via) servono a garantire una migliore collocazione sugli scaffali e una migliore esposizionepresso il punto vendita, oltre a una maggiore collaborazione del rivenditore. I rivenditori se le aspettano, anzi le esigono. Le misure volte a tagliare queste iniziative promozionali portano come conseguenza, spesso, un minor sostegno del settore. Perché? Il fatto è che gli esercenti traggono profitti notevoli dalle promozioni effettuate dai produttori.
Le aziende controllano meglio la programmazione del bilancio per le promozioni a favore dei consumatori. Anche in questo caso occorre analizzarne l’efficacia.
Le promozioni peggiori sono quelle a cui rispondono solo i clienti già acquisiti. Supponiamo che una promozione dei pannolini Pampers induca solo le mamme che già acquistano questa marca a comprarne di più: ciò significa offrire un incentivo inutile a clienti già acquisiti. Un altro caso negativo si ha quando la promozione attira alcuni clienti nuovi, prevalentemente a caccia di affari, che con tutta probabilità non acquisteranno più il prodotto al prezzo normale; l’aumento delle vendite è momentaneo e probabilmente la promozione non è neppure redditizia, considerando i costi sostenuti per lanciarla.
Il caso più positivo, e molto meno frequente, si verifica quando la promozione attira nuovi clienti, che sperimentano il prodotto e decidono di continuare ad acquistarlo. Questo accade soprattutto quando si scopre che il prodotto è veramente migliore di quelli dei concorrenti. Considerando tutte queste possibilità, non deve sorprendere il fatto che la maggior parte delle promozioni rappresenti una perdita di denaro per l’azienda.

La pianificazione del marketing

I piani di marketing devono avere tutti lo stesso formato? Quale?
Sono favorevole all’utilizzo di un formato standard per la pianificazione, poiché ciò consente all’alta direzione di confrontare agevolmente i diversi piani e produce unariflessione sistematica sul marketing efficace.
Un piano di marketing comprende sei componenti: analisi della situazione, obiettivi, strategia, tattiche, budget e controlli.Analisi della situazione. In questa fase l’azienda prende in esame le forze macroambientali (economiche, politico-giuridiche, socioculturali, tecnologiche) e gli attori(azienda, concorrenti, distributori e fornitori) dell’ambiente in cui opera, ed effettua un’analisi SWOT (Strenghts, Weaknesses, Opportunities, Threats, ossia punti di forza, punti deboli, opportunità e minacce). In realtà questa analisi dovrebbe essere definita TOWS (ossia minacce, opportunità, punti deboli e punti di forza), invertendo l’ordine precedente per andare dai fattori esterni a quelli interni, anziché dai fattori interni a quelli esterni. Questo perché l’analisi SWOT potrebbe indebitamente porre l’accento sui fattori interni e individuare soltanto le minacce e le opportunità che trovano corrispondenti punti di forza aziendali. Questa fase si dovrebbe concludere con l’individuazione dei principali problemi con cui si deve confrontare l’impresa.
Una volta identificate le migliori opportunità sulla base dell’analisi della situazione, l’azienda le dispone in ordine di importanza, definisce i mercati-obiettivo e stabilisce gli obiettivi e una tabella di marcia per realizzarli. Inoltre stabilisce gli obiettivi con riferimento agli stakeholder, alla reputazione aziendale, alla tecnologia e ad altre questioni rilevanti.
Strategia. Qualsiasi traguardo può essere perseguito in molti modi. Spetta alla strategia scegliere la linea d’azione più efficace per raggiungere gli obiettivi stabiliti.
Tattiche. Occorre specificare nei minimi dettagli la strategia riguardante le quattro “P” e le azioni che dovranno intraprendere nel corso dell’anno i singoli soggetti responsabili dell’attuazione del piano.
Budget. Le azioni e le attività pianificate comportano dei costi che vanno ad aggiungersi al budget necessario per realizzare gli obiettivi aziendali.
Controlli. L’impresa deve fissare dei momenti di verifica e stabilire dei parametri per valutare i progressi compiuti rispetto agli obiettivi previsti. Se le prestazioni risultano carenti, l’impresa deve rivedere obiettivi, strategie e azioni.

Come si valuta se un piano di marketing è valido?
In base alla mia esperienza, la maggior parte dei piani di marketing è inadeguata. Alcuni sono strapieni di cifre passate e di enunciati, ma sono privi di una strategia convincente. Oppure la strategia c’è, ma sembra non avere alcun rapporto con le tattiche. Oppure gli obiettivi sono poco realistici, o richiedono un budget poco realistico. O ancora, i controlli non sono adeguati per un feedback efficace e una revisione del piano.
Una volta l’IBM mi incaricò di valutare una serie di piani di marketing. Nel complesso erano buoni, ma sollevai qualche dubbio in merito a una serie di ipotesi e di dati, cosicché i piani furono rispediti al mittente per alcuni interventi di miglioramento. Non esiste la garanzia che un piano di marketing funzioni, ma è quasi certo che quelli scadenti non produrranno risultati positivi.

L'organizzazione del marketing

In che modo le aziende possono adottare un’impostazione più "orientata al cliente"?
L’orientamento al cliente è il risultato di un processo organico, gestito dal CEO e articolato nelle seguenti fasi.
Convincere l’alta direzione in merito alla necessità di focalizzarsi maggiormente sul cliente.
Nominare un alto responsabile del marketing e una task force di marketing.
Ottenere aiuti e consulenze esterne.
Modificare il meccanismo di valutazione e il sistema di retribuzione.
Assumere personale di talento per il marketing.
Promuovere validi programmi interni di formazione nel marketing.
Definire un moderno sistema di pianificazione di marketing.
Istituire un premio annuale per risultati di marketing eccellenti.
Spostare l’accento dal reparto al processo-risultato.
Responsabilizzare i dipendenti.

Quali sono le caratteristiche di una leadership valida?
Tutti i manager dovrebbero essere dei leader, mentre nella maggior parte dei casi sono semplici amministratori. Se dedicano la maggior parte del tempo a bilanci di previsione, costi e organigrammi, sono degli amministratori. Per essere un leader, occorre trascorrere del tempo con le persone all’interno dell’azienda per ricercare opportunità, formulare strategie e sostenere le rispettive missioni.Un vero leader è qualcuno che ha conquistato il rispetto del personale, che condivide la sua visione.
Un CEO che è anche un leader adotta un punto di vista da stakeholder, e non solo da azionista, sulla gestione vincente dell’azienda; altrimenti finisce per fare come “Chainsaw Al” (Al Dunlop): tagliare senza pietà costi e posti di lavoro e raggirare fornitori e distributori per spremere ulteriori utili a breve termine, al prezzo di rovinare l’azienda nel lungo periodo. Un leader sa che l’organizzazione è forte quanto lo sono i suoi anelli più deboli. L’insoddisfazione di fornitori, dipendenti, distributori, rivenditori o utilizzatori finali può fare affondare la nave. Un numero crescente di CEO gestisce le rispettive aziende, come Hewlett-Packard, Xerox, GE e così via, in base a uno schema equilibrato che tiene conto dei livelli di soddisfazione dei partner aziendali. Molti ritengono che i leader debbano avere carisma. Tuttavia, per essere efficaci non occorre carisma. Molti grandi leader non si affannano a costruirsi un’immagine carismatica; sono amabili, spesso semplici, e mostrano un reale interesse per clienti e dipendenti.

Qual è il modo migliore per promuovere un’impresa che sia (a) redditizia e (b) un buon posto dove lavorare?
La redditività è certamente più compatibile con un ambiente operativo piacevole. In passato prevaleva l’idea che un produttore potesse guadagnare il massimo pagando il minimo indispensabile a fornitori, dipendenti e distributori. Il risultato, però, erano forniture e prodotti scadenti e un elevato tasso di avvicendamento di dipendenti e partner.
Oggi le aziende più illuminate considerano come partner i propri fornitori, dipendenti e distributori, che così sono motivati a fornire un valore superiore. La filosofia della collaborazione positiva prevarrà sulla filosofia dello scontro. Fatalmente, la recente tendenza al ridimensionamento ha minato la fedeltà dei dipendenti, che non si fidano più dei propri superiori, pensano sempre di più a sé stessi e coltivano competenze da poter vendere ad altre aziende. Per un CEO è una grossa sfida ricostruire una cultura di fedeltàdistrutta da operazioni di ridimensionamento. I capi, se non adegueranno anche i propri stipendi ai tagli imposti ai dipendenti, perderanno la loro fiducia. In effetti gli stipendi immorali di alcuni CEO e i vari scandali sono stati duri colpi alla fedeltà dei dipendenti.
Hal Rosenbluth, proprietario di un’importante agenzia di viaggi, ha scritto un best seller dal titolo sorprendente, The Customer Comes Second (William Morrow, 1992). In effetti, nelle imprese di servizi come hotel, ristoranti e banche, si può sostenere che il primo obiettivo è la soddisfazione del dipendente. Secondo Bill Marriot Jr., se l’azienda riesce a soddisfare i propri dipendenti, questi a loro volta soddisferanno i clienti, che ritorneranno negli hotel Marriot, a tutto vantaggio dei profitti degli azionisti. Così Marriott e altri leader nel settore dei servizi pongono fortemente l’accento sull’attenzione per gli interessi dei dipendenti. Si parla quindi di marketing interno, perché l’obiettivo è quello di percepire, servire e soddisfare le esigenze di un mercato interno, rappresentato dai dipendenti.
I leader possono cercare di capire le esigenze dei propri “clienti interni” in diversi modi. John Welch aveva adottato l’approccio della ricerca di soluzioni (work-out): i capi delle varie divisioni ascoltavano le idee e le proposte di miglioramento dei dipendenti e fornivano delle risposte. Altre aziende distribuiscono periodicamente dei moduli dove i dipendenti esprimono una valutazione dei propri capi. Da parte mia penso che i superiori imparerebbero molto sulle esigenze dei propri subalterni andando in trincea a fare il loro lavoro. Per una settimana all’anno, gli alti dirigenti di McDonald’s e Disney lasciano i propri uffici per andare a cuocere hamburger, staccare biglietti e incontrare dipendenti e clienti.
I leader non devono solo formulare un piano, bensì proporre un obiettivo ispiratore, e dichiararlo non solo in termini finanziari, ma anche in termini di vantaggi sociali. Un’azienda di fertilizzanti in realtà non dovrebbe limitarsi a produrre fertilizzanti, ma aspirare a contribuire al nutrimento delle popolazioni affamate e all’eliminazione della fame nel mondo. Confermo in pieno il valore incentivante della formulazione di obiettivi nobili.
I leader con una formazione di marketing hanno il vantaggio di portare in azienda un approcciodall’esterno verso l’interno”, invece che “dall’interno verso l’esterno”. I leader con altre formazioni, ad esempio di produzione, finanza e così via, tendono a concentrarsi sul funzionamento interno dell’azienda e rischiano di non accorgersi quando quest’ultima non è più in sintonia con l’evoluzione del mercato. Gli uomini di marketing riconoscono le correnti in rapido mutamento nel mercato e percepiscono la necessità di nuove iniziative per tenersi a galla.
Un compito importante del leader è quello di indurre tutti i componenti dell’azienda a considerare il cliente come il centro dell’universo.
I dipendenti devono capire che non è l’azienda a pagarli, ma i clienti.
L’alta direzione deve chiarire a ciascun reparto in che modo il suo operato incida sulla soddisfazione e sul mantenimento del cliente e quanto costi all’azienda perdere un cliente.

Il controllo del marketing

Quali parametri possono utilizzare le aziende per giudicare le prestazioni del marketing?
L’elaborazione dei parametri potrebbe essere un progetto comune degli uffici marketing e finanza. Se fosse di competenza esclusiva dell’ufficio marketing, sorgerebbe il sospetto che la metodologia prescelta possa essere parziale. Se fosse di competenza esclusiva dell’ufficio finanziario, i responsabili del marketing non si fiderebbero. Se invece fosse sottoscritta da entrambi gli uffici, la metodologia adottata risulterebbe più credibile. Inoltre, ne trarrebbe vantaggio l’ufficio finanziario, che in ultima analisi dovrà utilizzarla come riferimento per la distribuzione dei fondi a fronte delle richieste provenienti dall’ufficio marketing.
Tra i parametri più utilizzati vi sono quota di mercato, consapevolezza del marchio, soddisfazione del cliente, qualità relativa del prodotto, valore percepito,fedeltà del cliente e tasso di perdita dei clienti.

Le aziende sono sufficientemente attente alla soddisfazione del cliente e prendono misure per migliorarla?
Per la maggior parte, le aziende prestano più attenzione alla crescita della propria quota di mercato che al grado di soddisfazione del cliente.
Questo è sbagliato. La soddisfazione del cliente e il valore percepito sono fondamentali per la redditività dell’azienda. Quanto più elevata è la soddisfazione del cliente, tantomaggiore sarà il grado di fedeltà. E i vantaggi derivanti da clienti fedeli sono molti. L’acquisizione di un nuovo cliente costa da cinque a dieci volte più di quanto costi soddisfare e mantenere i clienti attuali. Una riduzione del 5% del tasso di perdita dei clienti può significare un aumento della redditività dell’azienda tra il 25 e l’85%, a seconda del settore. Inoltre, la redditività di un cliente tende ad aumentare col tempo.

Gli ambiti di applicazione del marketing

È evidente che i programmi di marketing sono efficaci per le grandi aziende, ma le piccole imprese hanno meno risorse. Che uso dovrebbero fare del marketing?
Le piccole e medie imprese hanno la possibilità di utilizzare gli strumenti di marketing senza spendere troppo.
Esistono libri sulle ricerche di mercato a basso costo (ricorrendo ai gruppi di ascolto), strumenti di promozione poco costosi (volantini, pieghevoli e pubbliche relazioni) e così via. Sono anche stati pubblicati una serie di libri sul “guerilla marketing” dove abbondano i consigli sulle tattiche di comunicazione non convenzionale per acquisire visibilità e indurre a una prova d’acquisto del prodotto. Immaginiamo che una piccola azienda abbia realizzato un nuovo prodotto e lo voglia promuovere. Non mi piace particolarmente l’idea di ingaggiare un’agenzia di pubblicità e affidarle il compito di divulgare il messaggio su vasta scala; preferisco l’idea di trasmettere il messaggio a un pubblico ristretto.
Questo implica definire con cura i clienti obiettivo e scoprire il modo migliore per raggiungerli, ad esempio prendendo contatti per una visita diretta, oppure con inserzioni, pubblicità, azioni di direct mail, fax o email.
Personalmente propendo sempre più per una pubblicità selettiva e l’organizzazione di eventi e iniziative (event marketing), anziché spendere grandi cifre per una pubblicità a pioggia. Le piccole imprese possono anche pensare di usare Internet come veicolo pubblicitario e strumento di vendita.
Le piccole imprese possono vincere contro le grandi aziende in quattro modi: (1) andando a occupare una nicchia di mercato come specialisti, (2) aumentando la flessibilità nella progettazione dell’offerta, (3) fornendo un servizio di qualità superiore e (4) personalizzando l’interazione con gli acquirenti.

Le aziende si sono rese conto di tutte le potenzialità presenti nella gestione delle relazioni con il cliente (CRM)? Quali gli elementi che i professionisti devono tenere presenti, quando affrontano un investimento importante in quest’ambito?
Negli ultimi anni la gestione delle relazioni con il cliente (CRM, Customer Relationship Management) rappresenta uno dei nuovi sviluppi più promettenti del marketing. Quanto più un'impresa conosce i propri clienti acquisiti e potenziali, tanto più competitiva sarà la sua presenza sul mercato. Almeno in teoria.
La gestione delle relazioni con il cliente è stata “venduta” come una rivoluzione tecnologica che avrebbe consentito una maggiore precisione nell’identificazione dei potenziali clienti e nella presentazione delle offerte. Molte aziende hanno investito milioni di dollari soltanto per scoprire che nei dati mancavano parecchie variabili importanti e, quel che è peggio, che i dipendenti non erano né orientati al cliente né organizzati in funzione di quest’ultimo. Negli ultimi anni la resa degli investimenti nella gestione delle relazioni con il cliente è stata scarsa, con risultati insoddisfacenti per una percentuale di aziende compresa tra il 40% e il 60%. Quando si introduce una nuova tecnologia in un’azienda vecchia, si ottiene semplicemente un’azienda vecchia più costosa! Prima di fare investimenti nella CRM, occorre creare una cultura aziendale orientata al cliente. A quel punto il database può essere utilizzato dal personale di tutti i reparti dell’azienda per apprendere nuove informazioni sul cliente.
La sfida consiste quindi nel capire quando si tratta di un investimento appropriato e come attuarlo con successo. È una scelta che ha senso soprattutto nei settori caratterizzati da una grande ricchezza di dati, come il settore bancario, delle carte di credito, assicurativo e delle telecomunicazioni; è meno sensata nei mercati dei prodotti di consumo di massa, dove si vendono merci a basso costo.
Per decidere se investire in un costoso sistema CRM, proviamo a ragionare come ha fatto la Royal Bank of Canada, che ha richiesto al fornitore del sistema, la Siebel Company, di effettuare quattro stime.

Quanto costerà il sistema?Quanto tempo occorrerà prima che il sistema sia operativo?In quanti mesi l’incremento delle vendite riuscirà a coprire l’investimento iniziale nel sistema?
Ci sono anche un paio di citazioni sulla CRM che mi piace ricordare.
Steve Silver afferma: “La CRM non è un pacchetto software, non è un database, non è un call center e non è un sito Web. Non è neppure un programma di fidelizzazione, di assistenza, di acquisizione o di riconquista dei clienti. È una vera e propria filosofia”. Edmund Thompson del Gartner Group aggiunge: “Un programma di gestione delle relazioni con i clienti dipende per il 45% dalla leadership dei dirigenti, per il 40% dall’attuazione della gestione di progetto e per il 15% dalla tecnologia”.
Questi commenti mi trovano d’accordo.

Secondo Lei la gestione delle relazioni con il cliente (CRM) continuerà a deludere molte delle aziende che hanno speso fior di quattrini per acquistare il sistema?
Il sistema della CRM è straordinario, ma non fa per tutti. È stato pubblicizzato in modo esagerato e molte aziende si pentiranno di averlo adottato. Funzionerà solo se, tanto per cominciare, l’azienda è “cliente-centrica”. La gestione delle relazioni con il cliente si basa su una logica convincente che può essere così riassunta: “Se conosci bene i tuoi clienti a uno a uno, saprai con maggior precisione che cosa offrire, quando, in che modo e a quale prezzo”. In quest’ottica, un’azienda informatica non cercherà di vendere un computer nuovo ai clienti che nel database risultano averne appena acquistato uno, ma cercherà nella banca dati tutti i clienti che hanno acquistato un computer almeno tre anni prima. Acquisire informazioni sugli acquisti effettuati in passato da un cliente e sui suoi dati anagrafici e psicografici è senza dubbio un vantaggio.
Il rovescio della medaglia è che raccogliere, aggiornare e gestire queste informazioni costa molto. Molti dati, ad esempio gli indirizzi e le mansioni lavorative delle persone, ogni anno diventano obsoleti, e l’azienda ha bisogno di assumere analisti esperti che si occupino di data mining.
Non vale la pena di affrontare costi così alti, se l’impresa commercializza articoli di basso costo o se tratta prodotti che vengono acquistati una sola volta nella vita. Il punto è, a mio parere, che la gestione delle relazioni con il cliente può conferire un sostanziale vantaggio competitivo soltanto nelle aziende e nei settori dove ha ragione d’essere.
Nelle campagne promozionali si tende spesso a presentare la CRM come il mezzo per costruire un sistema informativo che consenta di personalizzare prodotti, servizi e messaggi rivolti al singolo cliente. Per alcune aziende, ad esempio nel settore bancario e delle carte di credito, ciò rappresenta una strategia praticabile e lodevole, mentre per altre assomiglia più a un campo minato.
Si tratta di capire se una certa azienda risulti più efficiente puntando ai segmenti di mercato e ai relativi bisogni, o piuttosto rivolgendosi ai singoli clienti. I segmenti sono una categoria in parte fittizia, perché anche i clienti appartenenti a uno stesso segmento presentano delle differenze; d’altra parte, costituiscono un criterio efficace per valutare e preparare le offerte di mercato. Non di rado, con un’impostazione basata sul segmento si ottengono risultati migliori che non realizzando e gestendo un costoso sistema informativo progettato per servire un cliente alla volta. La gestione delle relazioni con il cliente si addice di più al marketing B2B (business-to-business) che non al marketing dei beni di consumo.
Nel primo caso, infatti, le aziende hanno un numero di clienti più limitato e li conoscono meglio. Ciò non toglie che esistano anche aziende B2C (business-to-consumer) che hanno realizzato il proprio database clienti. Le vendite effettuate da Dell ai singoli clienti vengono registrate in un database e l’azienda sa esattamente quando proporsi a ciascun cliente con nuovi prodotti.
La Kraft possiede un database nel quale sono archiviati diversi milioni di nominativi di clienti che richiedono all’azienda ricette, coupon e altri servizi. Le banche possono ottenere risultati migliori raccogliendo informazioni sui singoli clienti, per capire meglio quando un cliente potrebbe essere interessato ad acquistare un’auto, quando debba sostenere le spese per un matrimonio o quando necessiti di un finanziamento per gli studi universitari.

Quali sono le caratteristiche di un buon sito Web aziendale?
Ogni azienda dovrebbe progettare un sito che ne esprima lo scopo, la storia, i prodotti, la vision e contenga diverse altre informazioni. Il sito Web dovrebbe rappresentare un modo semplice per entrare in contatto con l’azienda e presentare contenuti sempre nuovi per invogliare chi lo guarda a visitarlo di nuovo; devecaricarsi rapidamente a video e avere una grafica accattivante. Un sito Web può anche andare oltre l’offerta di contenuti e offrire transazioni, diventando così un sito di e-commerce.

In che modo le nuove tecnologie influiranno sul prodotto, sul prezzo e sulle politiche di distribuzione delle aziende tradizionali?
Internet sta contribuendo a rafforzare più il potere degli acquirenti che dei venditori. Oggi il cliente è sovrano. Il marketing inverso sta diventando di moda. In molti casi sono gli acquirenti che offrono un prezzo per l’acquisto di un prodotto, piuttosto che accettare il prezzo indicato dal venditore (Priceline.com). Gli acquirenti preferiscono i venditori che personalizzano l’offerta (Dell Computer). Gli acquirenti chiedono di essere pagati per guardare gli annunci pubblicitari (FreePC.com). Gli acquirenti possono collegarsi ad alcuni siti Web e chiedere buoni sconto specifici (Cool savings.com).
La pubblicità tradizionale ha prosperato con il battage pubblicitario (nei mercati dei beni di consumo) e una robusta forza di vendita (nei mercati delle imprese). Oggi sono sempre più numerose le aziende che dirottano parte delle loro dotazioni di bilancio su direct mail, telemarketing, fax, messaggi di posta elettronica, pagine Web e pubblicità su Web.
Di conseguenza, il ventaglio dei canali di comunicazione e di promozione si è decisamente ampliato.

Il marketing eccellente

La maggior parte delle aziende non dura a lungo, ma alcune sì. Qual è il segreto?
In media una nuova società ha una speranza di vita di 20 anni.
Un’azienda muore quando non è in grado di adeguarsi ai cambiamenti, o quando viene acquistata da un’altra società o incontra difficoltà finanziarie inattese e così via. Tuttavia, alcune aziende esistono da centinaia di anni, come Royal Dutch/Shell, DuPont, W.R.Grace, Kodak, Sumitomo e Unilever. I motivi per cui certe aziende prosperano per un lungo periodo di tempo sono spiegati in due libri eccezionali:di James Collins, Built to Last (e il più recente Good to Great);di Arie De Geus, The Living Company.

Può descrivere in maggior dettaglio alcune aziende innovative?
IKEA e Calyx & Corolla forniscono due validi esempi.
IKEA corrisponde alla mia descrizione di azienda a forte valore aggiunto. Ingvar Kamprad non sopportava l’idea che i giovani Svedesi che mettevano su casa per la prima volta dovessero affrontare forti spese per i mobili. Così si è impegnato a fondo per ridurre i costi della fabbricazione e vendita dei mobili, puntando sui risparmi ottenibili fornendo mobili da assemblare e sui vantaggi della produzione e del marketing di massa. Ma Kamprad non si è limitato a creare mobili di qualità a buon mercato; ha aggiunto all’esperienza IKEA alcune caratteristiche che dimostrano una certa sensibilità per le modalità di questa particolare tipologia di acquisti: ha aggiunto un ristorante, sapendo che l’acquisto di mobili richiede molto tempo e che gli uomini preferiscono sedersi a mangiare mentre le mogli fanno una prima ricognizione.
Ha aggiunto un’area giochi con personale di assistenza, perché i bambini diventano difficili da gestire mentre si fanno acquisti ed è meglio separarli dai genitori che devono concentrarsi sui prodotti.
Ha fidelizzato la clientela introducendo una tessera aziendale e offrendo ai possessori una serie di prodotti a prezzi più bassi. A mio parere l’IKEA è una delle società appartenenti all’Olimpo del marketing.
Calyx & Corolla fornisce un esempio interessante di pensiero innovativo. La fondatrice dell’azienda, Ruth M. Owades, rendendosi conto che i fiori affrontavano un viaggio di quasi dieci giorni per arrivare dal vivaio ai consumatori attraverso un labirinto di grossisti e dettaglianti, ha istituito un sistema di marketing diretto a domicilio. I clienti ordinano fiori freschi e bouquet dal catalogo, sul sito Internet o per telefono. L’ordine viene immediatamente inviato per via elettronica a uno dei 25 floricoltori collegati in rete, il quale raccoglie i fiori, li confeziona e li spedisce via FedEx. I fiori arrivano freschi, durano 10 giorni di più e soddisfano molti consumatori.

Friday 30 January 2009

The Dynamics of Personal Influence

You may have noticed how fashions in clothes or music spread through social networks. It turns out that all kinds of conditions and behaviors – including obesity, smoking, altruism, voting, and happiness – can flow through them as well. Yet although a person may be connected to other people by six degrees of separation, he or she is infl uenced only by those up to three degrees away. My colleague James Fowler and I have also found that a person’s influence progressively diminishes as the degrees of separation increase. For example, the risk for smoking in a person connected to a smoker (that is, at one degree of separation) is 61% higher, on average, than would be expected as a result of chance. It is 29% higher if the friends of that person’s friends smoke, and 11% higher if the friends of the person’s friends’ friends smoke. By the fourth degree of separation there is no longer an increase in risk. To take another example, we have found that a person is 15% likelier to be happy if his or her friends are happy, 10% likelier if the friends’ friends are happy, and 6% likelier if the friends of those friends’ friends are happy.

What does all this mean for businesses? Pharmaceutical companies might target physicians more effi ciently by exploiting their tendency to be infl uenced by other physicians to whom they are connected. Workplace-safety initiatives might benefit from the understanding that one person who adopts safer practices influences others to do so. Efforts to foster creativity or innovation might depend on the degree of separation of the relevant parties. And groups of customers – including customers who have online connections – might be strategically targeted so as to take advantage of their influence on one another.


Via: hbr

Launching a Better Brain

Our education systems and workplaces plunge us into deep mental ruts. They reward competencies that are self-reinforcing, not diversifying, and they encourage people to acquire domain expertise rather than to ask stupid questions and learn new things. We need to find our way out of these ruts and rekindle the creativity that many of us left behind in childhood.

As a kid, I loved playing with Legos. Now I build and launch model rockets. (In 2003, when I was browsing the local hobby shop for something fun to do with my son, I saw some rocket kits on the wall. My childhood was rediscovered!) Besides being fl at-out fun, rocketry helps preserve my childlike mind, which continually learns and grows through play and discovery.

Human cognitive development peaks in the teen years, plateaus into our late thirties, and then begins a gradual descent that lasts until death. Rarely can people orchestrate their lives to provide regular mental pursuits capable of combating that decline.

The common wisdom is that after childhood we have a fi xed number of neurons, which gradually die off during our lives, and that these neurons are organized in a fi xed architecture. Not true: New neurons are born throughout life, and synaptic connections are being formed and erased all the time. This phenomenon is called neuroplasticity. Cognitive exercise – or the lack of it – can dial the rate of rewiring up or down.

This explains, in part, why – besides having fun – I would want to shoot off rockets in the desert. To be sure, my business life is engaging and demanding. But its rhythms are familiar and often predictable. So I’ve learned to seek out unaccustomed inputs. I keep challenging my mind by mastering new skills. (Last year I learned how to fiberglass and how to take a rocket supersonic.)

My work, which involves evaluating start-up businesses and their leaders, benefi ts from this. I am comfortable in the midst of new ideas and approaches, from nanotechnology to synthetic biology. And I’m not an odd man out in this regard – my firm’s experience shows that a playful culture bears fruit.

Rocketry may not be for everyone. But I can’t imagine a single business leader who wouldn’t benefit from engaging in some pursuit – novel writing, wood carving, Civil War reenactment, whatever – that transcends the routine world and challenges the brain. Cognitive exercise will keep you agile, adaptive, and fit for life, in business and beyond.


Via: Hbr

The IKEA Effect: When Labor Leads to Love

Labor is not just a meaningful experience – it’s also a marketable one. When instant cake mixes were introduced, in the 1950s, housewives were initially resistant: The mixes were too easy, suggesting that their labor was undervalued. When manufacturers changed the recipe to require the addition of an egg, adoption rose dramatically. Ironically, increasing the labor involved – making the task more arduous – led to greater liking.

Research conducted with my colleagues Daniel Mochon, of Yale University, and Dan Ariely, of Duke University, shows that labor enhances affection for its results. When people construct products themselves, from bookshelves to Build-a-Bears, they come to overvalue their (often poorly made) creations. We call this phenomenon the IKEA effect, in honor of the wildly successful Swedish manufacturer whose products typically arrive with some assembly required.

In one of our studies we asked people to fold origami and then to bid on their own creations along with other people’s. They were consistently willing to pay more for their own origami. In fact, they were so enamored of their amateurish creations that they valued them as highly as origami made by experts.

We also investigated the limits of the IKEA effect, showing that labor leads to higher valuation only when the labor is fruitful: When participants failed to complete an effortful task, the IKEA effect dissipated. Our research suggests that consumers may be willing to pay a premium for do-it-yourself projects, but there’s an important caveat: Companies hoping to persuade their customers to assume labor costs – for example, by nudging them toward self-service through internet channels – should be careful to create tasks difficult enough to lead to higher valuation but not so difficult that customers can’t complete them.

Finally, the IKEA effect has broader implications for organizational dynamics: It contributes to the sunk cost effect, whereby managers continue to devote resources to (sometimes failing) projects in which they have invested their labor, and to the not-invented-here syndrome, whereby they discount good ideas developed elsewhere in favor of their (sometimes inferior) internally developed ideas. Managers should keep in mind that ideas they have come to love because they invested their own labor in them may not be as highly valued by their coworkers – or their customers.


Via: Hbr

Harnessing Social Pressure

Marketers are good at using peer influence to sell products, but few executives understand that it can motivate customers to help companies achieve other goals, such as saving money. Even fewer seem to be aware that the improper use of peer influence can elicit behaviors contrary to what was intended.

Hotels, for example, don’t exploit peer influence when trying to get guests to reuse towels, even though the daily cost of providing fresh ones can run to $1.50 a room. My colleagues and I set out to see if we could boost participation in one hotel’s towel-reuse program by placing signs with various messages in randomly chosen rooms. We increased participation by 26% over the standard environmental appeal by truthfully stating that the majority of other hotel guests reused their towels. The increase in compliance was even greater when we communicated that most of the guests who had stayed in that particular room were reusers.

But peer influence can have strange effects. In a study led by the social psychologist Robert Cialdini, signs at Arizona’s Petrified Forest National Park lamenting that many previous visitors had stolen petrified wood not only proved less effective at reducing pilferage than signs simply asking visitors not to take souvenirs, but resulted in more theft than when no signs at all were dis- played. And in research I conducted with Wesley Schultz and several colleagues, California households that were informed they were using more electricity than their neighbors reduced their consumption, but those informed that they were using less increased their consumption by 8.6%.

The lesson is that people respond strongly to messages about the behavior of others, particularly similar others; the more similar the other people, the more potent the effect. But beware: A publicized behavioral norm becomes a “magnetic middle,” drawing people toward it. To avoid inadvertently encouraging your best-behaved customers to backslide, try showing approval for their behavior. When the message to the below-norm California electricity users included a smiley face as a sign of approval, those households continued to consume at their original low rate.


Via: Hbr

How Social Networks Network Best

The humble bee has much to teach us about the flow of information in our own organizations. Bees, like human beings, are social animals, and evolution has provided them with elegant approaches to group decision making.

One of the most important group decisions made by a bee colony is where to locate the hive. Bees use a kind of “idea market” to guide their discovery: The colony sends out a small number of scouts to survey the environment. Returning scouts that have found promising sites signal their discoveries with a vigorous dance, thus recruiting more scouts to the better sites. The cycle of exploration and signaling continues until so many scouts are signaling in favor of the best site that a tipping point is reached.

The bees’ decision making highlights both information discovery and information integration, two processes that are crucial to every organization but that have different requirements. A centralized structure works well for discovery, because the individual’s role is to find information and report it back. In contrast, a richly connected network works best for integration and decision making, because it allows the individual to hear everyone else’s opinion about the expected return from each of the alternatives. The bees’ process suggests that organizations that alternate as needed between the centralized structure and the richly connected network can shape information fl ow to optimize both discovery and integration.

Recent studies at MIT reveal that this sort of oscillation may be characteristic of creative teams. One intriguing study tracked employees in the marketing division of a German bank by having them wear small sensors called sociometers for one month. Sociometers record data about face-to-face interactions such as participants’ identities and the location and duration of the interaction. Analysis of the data showed that teams charged with creating new marketing campaigns oscillated between the centralized communication associated with discovery and densely interconnected conversations that were mostly with other team members. In contrast, the members of implementation groups showed little oscillation, speaking almost exclusively to other team members.

A second study demonstrated not only that creative teams had especially nimble social-communication networks, but also that the amount of oscillation correlated with how productive the creative group judged itself to be. In this study almost 40% of the variation in creative productivity could be attributed to an oscillating pattern of communication strategies for discovery and integration.

Delving deeper into the communication networks of several organizations illuminated the links between productivity and information fl ow even more. A recent MIT study found that in one organization the employees with the most extensive personal digital networks were 7% more productive than their colleagues – so Wikis and Web 2.0 tools may indeed improve productivity. In the same organization, however, the employees with the most cohesive face-to-face networks were 30% more productive. Electronic tools may well be suited to information discovery, but face-to-face communication, an oft-neglected part of the management process, best supports


Via: Hbr

Zero-sum (game theory)

In game theory and economic theoryzero-sum describes a situation in which a participant's gain or loss is exactly balanced by the losses or gains of the other participant(s). If the total gains of the participants are added up, and the total losses are subtracted, they will sum to zero. Zero-sum can be thought of more generally as constant sum where the benefits and losses to all players sum to the same value of money and pride and dignity. Cutting a cake is zero- or constant-sum because taking a larger piece reduces the amount of cake available for others. In contrast, non-zero-sum describes a situation in which the interacting parties' aggregate gains and losses is either less than or more than zero. Zero sum games are also calledstrictly competitive.

Contents

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[edit]Definition

The zero-sum property (if one gains, another loses) means that any result of a zero-sum situation is Pareto optimal (generally, any game where all strategies are Pareto optimal is called a conflict game) [1]

Situations where participants can all gain or suffer together, are referred to as non-zero-sum. Thus, a country with an excess of bananas trading with another country for their excess of apples, where both benefit from the transaction, is in a non-zero-sum situation. Other non-zero-sum games are games in which the sum of gains and losses by the players are sometimes more or less than what they began with.

The concept was first developed in game theory and consequently zero-sum situations are often called zero-sum games though this does not imply that the concept, or game theory itself, applies only to what are commonly referred to as games.

[edit]Solution

For 2-player finite zero-sum games, the different game theoretic Solution concepts of Nash equilibriumminimax, and maximin all give the same solution. In the solution, players play amixed strategy.

[edit]Example

A zero sum game
ABC
130-30-101020-20
210-1020-20-2020

A game's payoff matrix is a convenient representation. Consider for example the two-player zero-sum game pictured at right.

The order of play proceeds as follows: The first player (red) chooses in secret one of the two actions 1 or 2; the second player (blue), unaware of the first player's choice, chooses in secret one of the three actions A, B or C. Then, the choices are revealed and each player's points total is affected according to the payoff for those choices.

Example: Red chooses action 2 and Blue chooses action B. When the payoff is allocated, Red gains 20 points and Blue loses 20 points.

Now, in this example game both players know the payoff matrix and attempt to maximize the number of their points. What should they do?

Red could reason as follows: "With action 2, I could lose up to 20 points and can win only 20, while with action 1 I can lose only 10 but can win up to 30, so action 1 looks a lot better." With similar reasoning, Blue would choose action C. If both players take these actions, Red will win 20 points. But what happens if Blue anticipates Red's reasoning and choice of action 1, and deviously goes for action B, so as to win 10 points? Or if Red in turn anticipates this devious trick and goes for action 2, so as to win 20 points after all?

John von Neumann had the fundamental and surprising insight that probability provides a way out of this conundrum. Instead of deciding on a definite action to take, the two players assign probabilities to their respective actions, and then use a random device which, according to these probabilities, chooses an action for them. Each player computes the probabilities so as to minimise the maximum expected point-loss independent of the opponent's strategy. This leads to a linear programming problem with the optimal strategies for each player. This minimaxmethod can compute provably optimal strategies for all two-player zero-sum games.

For the example given above, it turns out that Red should choose action 1 with probability 4/7 and action 2 with probability 3/7, while Blue should assign the probabilities 0, 4/7 and 3/7 to the three actions A, B and C. Red will then win 20/7 points on average per game.

[edit]Solving

The Nash equilibrium for a two-player, zero-sum game can be found by solving a linear programming problem. Suppose a zero-sum game has a payoff matrix M where element Mi,j is the payoff obtained when the minimizing player chooses pure strategy i and the maximizing player chooses pure strategy j (i.e. the player trying to minimize the payoff chooses the row and the player trying to maximize the payoff chooses the column). Assume every element of M is positive. The game will have at least one Nash equilibrium. The Nash equilibrium can be found by solving the following linear program to find a vector u:

Minimize:
ui
i
Subject to the constraints:
u ≥ 0
Mu ≥ 1

The first constraint says each element of the u vector must be nonnegative, and the second constraint says each element of the Mu vector must be at least 1. For the resulting u vector, the inverse of the sum of its elements is the value of the game. Multiplying u by that value gives a probability vector, giving the probability that the maximizing player will choose each of the possible pure strategies.

If the game matrix does not have all positive elements, simply add a constant to every element that is large enough to make them all positive. That will increase the value of the game by that constant, and will have no effect on the equilibrium mixed strategies for the equilibrium.

The equilibrium mixed strategy for the minimizing player can be found by solving the dual of the given linear program. Or, it can be found by using the above procedure to solve a modified payoff matrix which is the transpose and negation of M (adding a constant so it's positive), then solving the resulting game.

If all the solutions to the linear program are found, they will constitute all the Nash equilibria for the game. Conversely, any linear program can be converted into a two-player, zero-sum game by using a change of variables that puts it in the form of the above equations. So such games are equivalent to linear programs, in general.

[edit]Non-zero-sum

[edit]Economics

Many economic situations are not zero-sum, since valuable goods and services can be created, destroyed, or badly allocated, and any of these will create a net gain or loss. Assuming the counterparties are acting rationally, any commercial exchange is a non-zero-sum activity, because each party must consider the goods s/he is receiving as being at least fractionally more valuable to him/her than the goods s/he is delivering. Economic exchanges must benefit both parties enough above the zero-sum such that each party can overcome his or her transaction costs.

See also:

[edit]Psychology

The most common or simple example from the subfield of Social Psychology is the concept of "Social Traps." In some cases we can enhance our collective well-being by pursuing our personal interests — or parties can pursue mutually destructive behavior as they choose their own ends.

[edit]Complexity

It has been theorized by Robert Wright in his book Nonzero: The Logic of Human Destiny, that society becomes increasingly non-zero-sum as it becomes more complex, specialized, and interdependent. As former US President Bill Clinton states:

The more complex societies get and the more complex the networks of interdependence within and beyond community and national borders get, the more people are forced in their own interests to find non-zero-sum solutions. That is, win–win solutions instead of win–lose solutions.... Because we find as our interdependence increases that, on the whole, we do better when other people do better as well — so we have to find ways that we can all win, we have to accommodate each other.... Bill Clinton, Wired interview, December 2000 .[1]

[edit]Extensions

In 1944 John von Neumann and Oskar Morgenstern proved that any zero-sum game involving n players is in fact a generalized form of a zero-sum game for two players, and that any non-zero-sum game for n players can be reduced to a zero-sum game for n + 1 players; the (n + 1) player representing the global profit or loss.

Comparative advantage

economicscomparative advantage refers to the ability of a person or a country to produce a particular good at a lower opportunity cost than another person or country. It is the ability to produce a product most efficiently given all the other products that could be produced. [1] It can be contrasted with absolute advantage which refers to the ability of a person or a country to produce a particular good at a lower absolute cost than another.

Comparative advantage explains how trade can create value for both parties even when one can produce all goods with fewer resources than the other. The net benefits of such an outcome are called gains from trade.

Contents

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[edit]Origins of the theory

Comparative advantage was first described by Robert Torrens in 1815 in an essay on the Corn Laws. He concluded it was England's advantage to trade with Poland in return for grain, even though it might be possible to produce that grain more cheaply in England than Poland.

However the term is usually attributed to David Ricardo who explained it in his 1817 book On the Principles of Political Economy and Taxation in an example involving England and Portugal. In Portugal it is possible to produce both wine and cloth with less labor than it would take to produce the same quantities in England. However the relative costs of producing those two goods are different in the two countries. In England it is very hard to produce wine, and only moderately difficult to produce cloth. In Portugal both are easy to produce. Therefore while it is cheaper to produce cloth in Portugal than England, it is cheaper still for Portugal to produce excess wine, and trade that for English cloth. Conversely England benefits from this trade because its cost for producing cloth has not changed but it can now get wine at a lower price, closer to the cost of cloth. The conclusion drawn is that each country can gain by specializing in the good that it has comparative advantage in and trading that good for the other.

[edit]Examples

The following hypothetical examples explain the reasoning behind the theory. In Example 2 all assumptions are italicized for easy reference, and some are explained at the end of the example.

[edit]Example 1

Two men live alone on an isolated island. To survive they must undertake a few basic economic activities like water carrying, fishing, cooking and shelter construction and maintenance. The first man is young, strong, and educated and is faster, better, more productive at everything. He has an absolute advantage in all activities. The second man is old, weak, and uneducated. He has an absolute disadvantage in all economic activities. In some activities the difference between the two is great; in others it is small.

Despite the fact that the younger man has absolute advantage in all activities, it is not in the interest of either of them to work in isolation since they both can benefit from specialization and exchange. If the two men divide the work according to comparative advantage then the young man will specialize in tasks at which he is most productive, while the older man will concentrate on tasks where his productivity is only a little less than that of a young man. Such an arrangement will increase total production for a given amount of labor supplied by both men and it will make both of them richer.

[edit]Example 2

Suppose there are two countries of equal sizeNorthland and Southland, that both produce and consume two goods, Food and Clothes. The productive capacities and efficiencies of the countries are such that if both countries devoted all their resources to Food production, output would be as follows:

  • Northland: 100 tonnes
  • Southland: 400 tonnes

If all the resources of the countries were allocated to the production of clothes, output would be:

  • Northland: 100 tonnes
  • Southland: 200 tonnes

Assuming each has constant opportunity costs of production between the two products and both economies have full employment at all times. All factors of production are mobile within the countries between clothing and food industries, but are immobile between the countriesThe price mechanism must be working to provide perfect competition.

Southland has an absolute advantage over Northland in the production of Food and Clothing. There seems to be no mutual benefit in trade between the economies, as Southland is more efficient at producing both products. The opportunity costs shows otherwise. Northland's opportunity cost of producing one tonne of Food is one tonne of Clothes and vice versa. Southland's opportunity cost of one tonne of Food is 0.5 tonne of Clothes. The opportunity cost of one tonne of Clothes is 2 tonnes of Food. Southland has a comparative advantage in food production, because of its lower opportunity cost of production with respect to Northland. Northland has a comparative advantage over Southland in the production of clothes, the opportunity cost of which is higher in Southland with respect to Food than in Northland.

To show these different opportunity costs lead to mutual benefit if the countries specialize production and trade, consider the countries produce and consume only domestically. The volumes are:

Production and consumption before trade
FoodClothes
Northland5050
Southland200100
TOTAL250150

This example includes no formulation of the preferences of consumers in the two economies which would allow the determination of the international exchange rate of Clothes and Food. Given the production capabilities of each country, in order for trade to be worthwhile Northland requires a price of at least one tonne of Food in exchange for one tonne of Clothes; and Southland requires at least one tonne of Clothes for two tonnes of Food. The exchange price will be somewhere between the two. The remainder of the example works with an international trading price of one tonne of Food for 2/3 tonne of Clothes.

If both specialize in the goods in which they have comparative advantage, their outputs will be:

Production after trade
FoodClothes
Northland0100
Southland30050
TOTAL300150

World production of food increased. Clothing production remained the same. Using the exchange rate of one tonne of Food for 2/3 tonne of Clothes, Northland and Southland are able to trade to yield the following level of consumption:

Consumption after trade
FoodClothes
Northland7550
Southland225100
World total300150

Northland traded 50 tonnes of Clothing for 75 tonnes of Food. Both benefited, and now consume at points outside their production possibility frontiers.

Assumptions in Example 2

  • Two countries, two goods - the theory is no different for larger numbers of countries and goods, but the principles are clearer and the argument easier to follow in this simpler case.
  • Equal size economies - again, this is a simplification to produce a clearer example.
  • Full employment - if one or other of the economies has less than full employment of factors of production, then this excess capacity must usually be used up before the comparative advantage reasoning can be applied.
  • Constant opportunity costs - a more realistic treatment of opportunity costs the reasoning is broadly the same, but specialization of production can only be taken to the point at which the opportunity costs in the two countries become equal. This does not invalidate the principles of comparative advantage, but it does limit the magnitude of the benefit.
  • Perfect mobility of factors of production within countries - this is necessary to allow production to be switched without cost. In real economies this cost will be incurred: capital will be tied up in plant (sewing machines are not sowing machines) and labour will need to be retrained and relocated. This is why it is sometimes argued that 'nascent industries' should be protected from fully liberalised international trade during the period in which a high cost of entry into the market (capital equipment, training) is being paid for.
  • Immobility of factors of production between countries - why are there different rates of productivity? The modern version of comparative advantage (developed in the early twentieth century by the Swedish economists Eli Heckscher and Bertil Ohlin) attributes these differences to differences in nations' factor endowments. A nation will have comparative advantage in producing the good that uses intensively the factor it produces abundantly. For example: suppose the US has a relative abundance of capital and India has a relative abundance of labor. Suppose further that cars are capital intensive to produce, while cloth is labor intensive. Then the US will have a comparative advantage in making cars, and India will have a comparative advantage in making cloth. If there is international factor mobility this can change nations' relative factor abundance. The principle of comparative advantage still applies, but who has the advantage in what can change.
  • Negligible Transport Cost - Cost is not a cause of concern when countries decided to trade. It is ignored and not factored in.
  • Assume that half the resources are used to produce each good in each country. This takes place before specialization
  • Perfect competition - this is a standard assumption that allows perfectly efficient allocation of productive resources in an idealized free market.

[edit]Attorney example

The economist Paul Samuelson provided another well known example in his Economics. Suppose that in a particular city the best lawyer happens also to be the best secretary, that is he would be the most productive lawyer and he would also be the best secretary in town. However, if this lawyer focused on the task of being an attorney and instead of pursuing both occupations at once, employed a secretary, both the output of the lawyer and the secretary would increase.

Flaw in theory - The flaw in the theory, as demonstrated by this example, can be shown by the fact that the individual chose to be a lawyer and not a secretary. He could have chosen to be a secretary, employed by a less talented lawyer, but he did not choose this latter option. This is because being a lawyer is more profitable than being a secretary. Extending this to the global economy, there are advanced and highly profitable products and primitive and less profitable ones. Countries that produce the primitive and less profitable product are impoverished and lack global power. Thus no country wants to produce the less profitable product, and so they engage in a trade war as they compete to produce the most profitable products. For example, the competition between Europe's Airbus and America's Boeing over the profitable passenger jet industry.

[edit]Effects on the economy

Conditions that maximize comparative advantage do not automatically resolve trade deficits. In fact, in many real world examples where comparative advantage is attainable may in fact require a trade deficit. For example, the amount of goods produced can be maximized, yet it may involve a net transfer of wealth from one country to the other, often because economic agents have widely different rates of saving.

As the markets change over time, the ratio of goods produced by one country versus another variously changes while maintaining the benefits of comparative advantage. This can cause national currencies to accumulate into bank deposits in foreign countries where a separate currency is used.

Macroeconomic monetary policy is often adapted to address the depletion of a nation's currency from domestic hands by the issuance of more money, leading to a wide range of historical successes and failures. These effects of comparative advantage in particular are an underlying influence leading to imbalances that epitomize some of the recent financial crises. The Global financial crisis of 2008–2009 is no exception.

[edit]Limits of Applicability

[edit]Free mobility of capital in a globalized world

Ricardo explicitly bases his argument on an assumed immobility of capital:

" ... if capital freely flowed towards those countries where it could be most profitably employed, there could be no difference in the rate of profit, and no other difference in the real or labour price of commodities, than the additional quantity of labour required to convey them to the various markets where they were to be sold."[2]

He even explains why from his point of view (anno 1817) this is a reasonable assumption:

"Experience, however, shews, that the fancied or real insecurity of capital, when not under the immediate control of its owner, together with the natural disinclination which every man has to quit the country of his birth and connexions, and intrust himself with all his habits fixed, to a strange government and new laws, checks the emigration of capital."[2]

In the 21st century however, capital is much more free to move internationally than Ricardo could possibly have imagined. An indication of that is "the fact that about one third of the $6.1 trillion total for world trade in goods and services in 1995 was trade within companies — for example between subsidiaries in different countries or between a subsidiary and its headquarters" and a further reduction of barriers against transnational investments is actively pursued by the WTO [3].

Consequently, Ricardo's original idea in its pure form does not apply to the modern world and neither do more modern versions of models for international trade that are based on the idea of comparative advantage, like the Heckscher-Ohlin model"International trade (governed by comparative advantage) becomes, with the introduction of free capital mobility, interregional trade (governed by Absolute advantage)."[4]

This limit of applicability has been prominently voiced by renowned economist Herman Daly.

[edit]Criticism

[edit]Economic dependence

In Kicking Away the Ladder: Development in Historical Perspective and Bad Samaritans: The Myth of Free Trade and the Secret History of Capitalism , Ha-Joon Chang argues that the principle of comparative advantage was used by advanced industrial countries to keep undeveloped countries on agriculture instead of developing their own manufactures (which would have made them competition for the industrialized nations). Similar to the way that those individuals who have accumulated much capital support a free contract between themselves and wage-laborers, in order to employ them for labor and then sell the products of their labor and the owner's capital after taking a profit, those countries which have already industrialized prefer "free" trade between nations, in order to maintain a similar type of dependence of the undeveloped world upon the already developed world: with developed world capital employing the labor of citizens of undeveloped nations, then selling the products of their labor back to them through international trade (after taking a profit).

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