Saturday 20 December 2008

Bugie: il mentire come sintomo della coscienza

Le storie che raccontiamo a noi stessi

Il neuroscienziato Michael Gazzaniga ha mostrato che il cervello elabora allegramente false spiegazioni delle sue motivazioni. Alcuni pazienti affetti da epilessia sono stati sottoposti all’intervento chirurgico del recidere le connessioni tra gli emisferi cerebrali. Il circuito del linguaggio è nell’emisfero sinistro, e la metà sinistra del campo visivo è registrata nell’emisfero destro isolato, cosicché la parte della persona con gli emisferi cerebrali divisi capace di parlare èinconsapevole della metà sinistra del suo mondo. 
L’emisfero destro è sempre attivo, però, e può eseguire semplici comandi scritti su cartelli e presentati al campo visivo di sinistra, come "cammina" o "ridi". Quando al paziente (in realtà all’emisfero sinistro del paziente) si chiede perché si sia messo a camminare (il che, sappiamo, ha fatto in risposta al comando presentato all’emisfero destro), lui risponde candidamente: "Per prendere una Coca". E quando gli si chiede perché ride, dice: "Venite qui a farci dei test ogni mese. Che modo di guadagnarsi da vivere!".

Le storie che raccontiamo a noi stessi ci presentano nella luce migliore. L’umorista Garrison Keillor descrive un’immaginaria comunità raccontando che, lì, "le donne sono forti, gli uomini belli, e tutti i bambini sopra la media". 
In realtà, la maggior parte delle persone pretende di essere sopra la media in qualunque capacità positiva di cui si parli: attitudine al comando, raffinatezza, abilità atletiche, capacità manageriale, persino bravura al volante. E razionalizzano simili vanterie cercando un aspetto di quella capacità in cui è effettivamente possibile che siano brave. Chi va piano in macchina dice di essere sopra la media nella prudenza, chi va veloce nei riflessi. Più in generale, noi ci illudiamo sulla nostra benevolenza e sulla nostra efficacia. 
Lo psicologo Eliot Aronson è giunto a questa conclusione: 
“Si adulterano le proprie convinzioni solo per eliminare una contraddizione con la proposizione «sono bravo e ho il controllo della situazione»”.

La dissonanza cognitiva è sempre innescata da prove palesi che non si è benevoli ed efficaci come si vorrebbe che gli altri pensassero. A volte intravediamo i nostri autoinganni. Quand’è che una critica ci “brucia", ci ferisce sul vivo? Quando qualche parte di noi sa che corrisponde a verità. 
Se a saperlo fosse ogni parte di noi, non ci ferirebbe: sarebbe qualcosa di arcinoto. Se nessuna parte di noi lo sapesse, ci passerebbe sopra la testa e la liquideremmo come falsa.
Come dice Francois La Rochefoucauld: 
«Le opinioni che hanno di noi i nostri nemici si avvicinano alla verità più delle nostre».

Tuttavia, grazie alla complessità della nostra mente, non siamo condannati a farci menare per il naso per sempre dai nostri stessi raggiri. Un sé può ingannare un altro sé, ma ogni tanto un terzo sé vede la verità.
Pinker S., “Come funziona la mente”, Mondadori, pag. 453


I segnali si sono evoluti per manipolare il comportamento di un altro essere

Il problema evoluzionistico del linguaggio è il suo apparente altruismo. Gran parte del nostro parlare, fatta eccezione per gli ordini e le domande, serve a trasferire informazioni potenzialmente utili dall’emittente (colui che parla) al ricevente (colui che ascolta). Parlare costa tempo ed energia e sembra recare vantaggi solo all’ascoltatore. Sembra quindi un’azione altruistica. Ma l’evoluzione tende a evitare i comportamenti altruistici.
Cinquanta anni fa, la comunicazione altruistica non sembrava un problema. L’etologo Konrad Lorenz aveva sostenuto che comunicare servisse al bene della specie. Si riteneva che comportamenti ritualizzati, come il ringhio di un cane, servissero a trasmettere un’informazione precisa sul livello di aggressività di un individuo e sulla sua volontà di combattere. Se un cane che ringhia incontra un altro cane che non ringhia, quest’ultimo dovrebbe abbandonare il campo ed evitare alla propria specie un inutile combattimento fra cani. Per diversi decenni, il dogma per i biologi era che il segnale nel mondo animale significasse comunicazione, che la comunicazione rivelasse emozioni e intenzioni, e che si fosse evoluta per rendere più efficienti le relazioni sociali.

Con l’avvento della teoria del gene egoista negli anni Settanta questa visione idilliaca del segnale animale finì in pezzi: i caratteri non si sono evoluti per il bene della specie. Nel loro fondamentale articolo del 1978, Richard Dawkins e John Krebs sostenevano che gli animali avrebbero potuto evolvere la produzione di segnali solo nel caso in cui i segnali avessero conferito loro un vantaggio netto in termini di fitness, vantaggio consistente in un aiuto a duplicare i propri geni a spese degli altri. L’evoluzione non può favorire una condivisione altruistica delle informazioni più di quanto possa favorire l’altruistica condivisione del cibo. Pertanto, la maggior parte dei segnali animali debbono essersi evoluti per manipolare il comportamento di un altro animale a proprio vantaggio. Il cane ringhia perché è più facile intimidire un rivale che combatterlo. La teoria moderna dei segnali animali si è sviluppata a partire da questa intuizione. I segnali in realtà non trasmettono informazioni sul mondo, perché gli emittenti hanno molte buone ragioni per mentire sul mondo. La teoria sostiene che gli animali in generale si sono evoluti per ignorare i segnali di altri animali che possono essere usati per manipolazione. Ci sono poche eccezioni. I predatori ricevono segnali dalle prede che, in modo attendibile, avvertono: «Non puoi prendermi», oppure «Sono velenoso» (gli animali che si nascondono dai predatori hanno evoluto il mimetismo, il cui scopo è di nascondere anziché trasmettere segnali della propria esistenza). E gli animali che cercano un buon partner con cui accoppiarsi ascoltano i segnali del tipo: «ho dei buoni geni». Tutto qui. 
A eccezione di quelli di velenosità, questi segnali sono contemporaneamente tutti anche indicatori di fitness. Qualsiasi altro tipo di segnale che si è evoluto in natura è probabilmente pura manipolazione, che espone il ricevente alle menzogne, alla chiacchiera melliflua e alla propaganda.

Di fatto non ci sono modelli di segnali animali nei quali è possibile che si evolvano informazioni sempre attendibili, dato che emittente e ricevente hanno forti conflitti di interessi. Le api usano danze per indicare la direzione e la distanza del cibo, ma le api sono sorelle dello stesso alveare e hanno quindi lo stesso interesse comune.
Miller G., “Uomini, donne e code di pavone”, Einaudi


La doppiezza comunicativa nelle scimmie

La prima raccolta sistematica di testimonianze sul fatto che gli scimpanzé applicano le loro tattiche ingannatorie anche l’un l’altro è il libro di de Waal, “La politica degli scimpanzé” (1982), basato sulle osservazioni di una colonia di scimmie in Olanda. 
Racconta de Waal:
“Avendo trascorso anni a osservare i macachi prima di fare conoscenza con le antropomorfe, ero del tutto impreparato alla finezza con cui queste si ingannano vicendevolmente. Ho visto gli scmpanzè cancellarsi dalla faccia un’espressione poco conveniente, nascondere con le mani parti del corpo rivelatorie e compromettenti, diventare totalmente cieche e sorde quando un altro individuo saggiava il loro sistema nervoso con una rumorosa esibizione intimidatoria.
Molti scimpanzé, ad esempio, all’avvicinarsi di uno sconosciuto possono rapidamente riempirsi la bocca di acqua dal rubinetto della loro gabbia e poi, perfettamente impassibili, restare in attesa che l’intruso arrivi alla loro portata. Alcuni sono così esperti da saper ingannare anche coloro che sono pienamente consapevoli di questa possibilità. In questo caso l’antropomorfa si aggira per la gabbia come se fosse occupata in qualcos’altro, e al momento giusto, quando ode la vittima dietro di sé, si volta di scatto e gli schizza l’acqua che ha in bocca.”
De Waal F., “Naturalmente buoni”, Garzanti, pag. 103

Vediamo un altro esempio. Dandy, il più giovane fra i maschi adulti, quando la notte veniva messo nella stessa gabbia con gli altri maschi, non sempre riusciva ad avere accesso al cibo.
«Dopo qualche mese il sorvegliante riferì che nella ventina di minuti che intercorrevano fra l’entrata nella gabbia e la somministrazione della cena, Dandy era sempre insolitamente allegro e spesso coinvolgeva nei giochi l’intera banda di maschi. Quando arrivava col cibo, li trovava intenti a rincorrersi rumorosamente, a ricoprirsi di paglia vicendevolmente e a «ridere» [profondi suoni gutturali associati al gioco]. In questa atmosfera rilassata Dandy riusciva a mangiare indisturbato, fianco a fianco con gli altri. È evidente che egli simulava un certo umore per influenzare quello degli altri a proprio vantaggio.»

Ecco un terzo esempio. I maschi di basso rango si accoppiano con le femmine a loro rischio e pericolo, poiché i dominanti tendono a interrompere tale attività. Ne consegue che spesso ricorrono ad appuntamenti segreti, il che richiede la cooperazione della femmina.
«Gli accoppiamenti furtivi di questo tipo si accompagnano non di rado alla repressione dei segnali e all’occultamento. Ricordo una volta che Dandy e una femmina si corteggiavano a vicenda furtivamente. Dandy cominciò a fare delle profferte alla femmina, senza smettere di guardarsi attorno per vedere se qualcuno degli altri maschi lo stesse osservando. Gli scimpanzé maschi iniziano le loro profferte sedendosi con le gambe divaricate in modo da rendere evidente la loro erezione. Proprio nel momento in cui Dandy faceva mostra del suo impulso sessuale nel modo suddetto, comparve inatteso dietro l’angolo Luit, uno dei maschi più anziani. Immediatamente Dandy abbassò le mani sul proprio pene per nasconderlo
De Waal F., “Naturalmente buoni”, Garzanti, pag. 103


La comparsa della capacità di mantenere un segreto

 

Il nostro tipo di pensiero dovette aspettare, per emergere, la comparsa della parola, la quale emerse solo dopo la comparsa della capacità di mantenere un segreto. Tale facoltà, a sua volta, dovette attendere che l’ambiente comportamentale avesse raggiunto un grado appropriato di complessità. Dovremmo sorprenderci di trovare il pensiero in una qualunque specie che non lo abbia costruito sulla base di questa serie di filtri. Fintanto che le opzioni comportamentali sono relativamentesemplici, non è necessaria alcuna elaborata rappresentazione a livello centrale, e pertanto, con ogni probabilità, essa non ha luogo.
Dennett, Daniel, “La Mente e le Menti”, Euroclub, pag. 146


La capacità di simulare raggiunge il culmine con la coscienza soggettiva

 

Le macchine da sopravvivenza e i cervelli che possono simulare il futuro, rappresentano un passo avanti rispetto a quelle menti che possono imparare soltanto sulla base di tentativi ed errori reali. Il problema dei tentativi reali è che richiedono tempo ed energia. Il problema degli errori reali è che spesso sono fatali. La simulazione è al tempo stesso più sicura e più veloce.

L’evoluzione della capacità di simulare sembra aver raggiunto il culmine con la coscienza soggettiva. Perché ciò debba essere successo è, per me, il mistero più profondo della biologia moderna. 
Forse la coscienza nasce quando la simulazione cerebrale del mondo diventa così completa da includere un modello di se stessi
Dawkins R, “Il gene egoista”, Mondadori, pag. 69


L’origine dell’«io» nell’inganno: chi cela i sentimenti sopravvive

Anche l’inganno può essere una causa di coscienza. Dobbiamo però cominciare qualsiasi discussione di questo argomento distinguendo fra l’inganno strumentale o a breve termine el’inganno a lungo termine, meglio designato come tradimento. Vari esempi del primo tipo di inganno sono stati descritti negli scimpanzé. Le femmine di scimpanzé si presentano talvolta in posizione di coito a un maschio per sottrargli una banana nel momento in cui il suo interesse per il cibo è in tal modo distratto dalle loro grazie. Il tipo di inganno praticato è un esempio di apprendimento strumentale, un modello di comportamento che viene seguito immediatamente da una qualche situazione remunerativa. E questo comportamento non abbisogna di altra spiegazione.
Il tipo di inganno che abbiamo designato come tradimento è invece cosa tutt’affatto diversa. Esso è impossibile per un animale o per un uomo bicamerale. L’inganno a lungo termine richiede l’invenzione di un sé analogale in grado di «fare» o «essere» qualcosa di completamente diverso da ciò che la persona, così com’è vista dagli altri, fa o è. È facile immaginare quanto questa capacità debba essere stata importante per la sopravvivenza. In un paese invaso da stranieri, un uomo che, vedendo violentare la propria moglie, avesse obbedito alle proprie voci, si sarebbe opposto con le armi e sarebbe stato quindi probabilmente ucciso. Se un uomo aveva la capacità di essere una cosa interiormente e un’altra esteriormente, e di celare i suoi sentimenti di vendetta dietro una maschera di rassegnata accettazione dell’inevitabile, aveva la possibilità di sopravvivere. Oppure quando si trattava di dover obbedire a stranieri invasori, l’uomo in grado di obbedire superficialmente e di avere «dentro di sé» un altro sé con «pensieri» contrari alle sue azioni sleali,l’uomo che sapeva sorridere alla persona che odiava, costui poteva molto più facilmente perpetuare se stesso e la sua famiglia nella nuova èra.
I genitori insegnarono ai figli ad essere critici, dubbiosi, doppi.
Julian Jaynes, “Il crollo della mente bicamerale”, Adelphi pag. 270


I primati sono sfacciati bugiardi

L’espressione, applicabile a tutti gli ominidi, «maligno come una scimmia» dice qualcosa. I primati sono consumati, sfacciati bugiardi. Si nascondono agli occhi dei rivali per amoreggiare, gridano al lupo per attrarre o distogliere l’attenzione, giungono addirittura ad atteggiare le labbra per darsi un’espressione impassibile. Gli scimpanzé tengono d’occhio, almeno approssimativamente, gli obiettivi perseguiti dai compagni, e a volte sembrano usare dei propri a fini didattici e d’inganno. 
Pinker S., “Come funziona la mente”, Mondadori, pag. 207


Via: www.ilpalo.com

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