Saturday 20 December 2008

Cosa fare in presenza di problemi: come pensare positivo

Creatività e scoperta di problemi

Mackworth [1965] distingue tra la capacità di risolvere un problema e la capacità di scoprire un problema
«La capacità di risolvere un problema dipende dalla scelta tra programmi o regole mentali già esistenti. D’altra parte, invece, la capacità di “scoprire un problema” dipende dalla scelta tra quelli che sono i programmi esistenti e quelli che ci si aspetta siano i programmi futuri. Ha a che fare con ilriconoscimento del bisogno di un nuovo programma
Il processo di soluzione di problemi conduce alla soluzione di problemi ben definiti, mentre il processo di scoperta di problemi conduce alla formulazione di una serie di domande a partire da problemi mal definiti.
Getzels [1973] ha osservato che la capacità di scoprire problemi potrebbe apparire a molti come un lusso che non sempre ci possiamo permettere dal momento che abbiamo già abbastanza problemi da risolvere. Che bisogno c’è di trovarne di nuovi? 
È possibile rispondere a questa domanda, dicendo che la qualità della soluzione spesso dipende dal modo in cui il problema è stato formulato. 
A questo proposito, Getzels cita Einstein:
“La formulazione di un problema spesso è più cruciale della sua soluzione, dal momento che la soluzione non dipende che dall’applicazione di capacita di tipo matematico e sperimentale. La capacità di porre domande nuove, di definire nuove possibilità e di considerare le domande usuali vedendole in una nuova prospettiva, richiede invece un’immaginazione creativa e segna il realeprogresso scientifico.”


I matematici e il cestino della carta straccia

 

Nel loro libro The Anthropic Cosmological Principle, John Barrow e Frank Tipler citano un anonimo rettore di università: 
“Perché voi fisici avete sempre bisogno di attrezzature così costose? Al Dipartimento di Matematica chiedono solo un po’ di fondi per carta, matita e cestini per la cartastraccia, e al Dipartimento di Filosofia la situazione è persino migliore: lì non gli occorrono neanche i cestini”.

Proprio Einstein osservò che il cestino per la cartastraccia è lo strumento più importante per il fisico teorico!
[Edelmann, pag. 244]


Cosa fare con un problema di difficile soluzione

 

La procedura che la scienza adotta per i suoi problemi, è la migliore anche per i guai di tutti i giorni:dividere la questione in sottoproblemi, fino a trovarne uno di possibile soluzione.
Esempio: decidi di spedire il tuo curriculum a varie aziende. Stendere la versione definitiva del tuo cv ti costa fatica, non ti viene giù facile e sei pieno di dubbi. Puoi allora cominciare da un sottoproblema tecnico – gli indirizzi delle società – e trovare quelli, mentre pensi a cosa scrivergli.
Quando si riconduce un problema bloccato e insolubile strategicamente, ad una banale ricerca tattica, ci si calma subito.

In sostanza in presenza di un problema di difficile soluzione, conviene procedere a:
Raddoppiare il tempo che s intendeva dedicare alla risoluzione della faccenda. 
Abbassare le aspettative e ridurre gli obiettivi iniziali.

È utile anche un’analisi storica del problema: vedere chi prima di noi ha dovuto affrontare questioni simili.
Un’analisi fredda e razionale può individuare risorse nascoste. Ad esempio scoprire che un amico potrebbe avere la soluzione che si cerca.


Col problema bisognerà convivere

Se si può presumere che il problema attualmente irrisolvibile non causerà la morte nelle prossime 24 ore, vuol dire che col problema bisognerà convivere. Arriverà poi la notte, il riposo, la mente staccherà il controllo per rinforzarti col sonno fino al giorno dopo.
Un briciolo di spirito orientale può aiutare, ridimensionandoli, a sopportare l’ansia generata dai problemi irrisolti.


Problemi di convivenza sociale: se l’”altro” assume un ruolo ostile

Benché la vita sociale non sia sempre una lotta, spesso purtroppo lo diventa. Nell’interscambio umano, alle volte l’”altro” assume un ruolo oggettivamente ostile. Quindi c’è spesso una “controparte”: il capoufficio che ti riempie di compiti, i colleghi che non ti supportano, il negoziante che non vuole fare lo sconto.

Questa persona mi è di ostacolo. Cosa poso fare per farla diventare amica? La mia controparte ha bisogno di alleati per certe sue cose? Quali? Che risorse posso metterle a disposizione, che la persona non immagina, fino a spingerlo  cercare la mia alleanza?

Siamo di fronte ad un nuovo manifestarsi del bisogno di “doppiezza comunicativa”.

Rispondere a quelle domande implica il trovare informazioni. Ciò rende necessario calarsi nei panni della controparte, e identificarne i punti di vista, e le motivazioni.
Questo permette di ipotizzare le contromosse: “Se gli dirò A, mi risponderà B, allora io illustrerò C”.
Quando la comunicazione vuole essere efficace, c’è l’obbligo di prevedere e anticipare le reazioni di chi si vuol convincere.


Noi formiamo abitudini che applichiamo alla soluzione di classi di problemi

 

Noi non solo risolviamo problemi specifici, ma ci formiamo abitudini che applichiamo alla soluzione di classi di problemi. 
Ma le abitudini, com’è noto, sono rigide, e questa loro rigidità è una conseguenza inevitabile della posizione che esse occupano nella gerarchia dell’adattamento. Il risparmio, in termini di tentativi ripetuti, che ci procura il formarsi di abitudini è possibile proprio perché esse sono programmate in modo relativamente rigido. Il risparmio sta proprio nel non riesaminare o riscoprire le premesse di un’abitudine ogni volta che di tale abitudine ci serviamo. 
Si può dire che queste premesse sono in parte inconscie, oppure, se si vuole, che si è presa l’abitudine di non esaminarle.
Bateson G., “Verso un’ecologia della mente”, Adelphi, pag. 301


Questo libro cerca di chiarire come il cervello risolve i problemi

Questo libro cerca di chiarire come il cervello risolve i problemi.
Se nella scuola si pretende l’uso del vocabolario senza aver mai spiegato come lo si adopera, altrettanto succede con il cervello: si da per scontato che la gente lo sappia utilizzare senza Informazioni e chiarimenti sulla "pensistica". Sarebbe indubbiamente una materia complessa, che comprende cenni sulla natura anatomica del cervello, lezioni di psicologia, linguistica, semantica (cioè lo studio del significato delle parole), e naturalmente di filosofia, almeno per ciò che riguarda i "concetti".
Queste note non arrivano a tanto, sono solo la raccolta ordinata di una serie di Informazioni sulla "soluzione dei problemi", e mirano a far diventar cosciente un attività inconscia che pure funziona più o meno perfettamente. Tutti noi troviamo soluzione ai nostri problemi; in queste pagine si cerca però di denominare gli strumenti di analisi che ogni persona possiede e utilizza pur non conoscendone il nome.
Il materiale è stato prevalentemente raccolto sii libri di psicologia, medicina e linguistica; perché allora copiare e riordinare il tutto? Perché anche la divulgazione ha un valore, In una società dove il tempo per poter leggere e selezionare è prezioso.
Uno dei nodi degli studi sul cervello è la mancanza di una teoria su cosa sia il "significato" di una parola e come la mente utilizzi i significati nel pensare. Un altro è come sia possibile estendere la capacità dell’attenzione e della memoria di servizio. Su questi temi le ricerche continuano e i risultati saranno senz’altro interessanti.


Che cos’è un “problema”

 

Se ciò che si sta affrontando è un problema allora avrà:
A) una SITUAZIONE DI PARTENZA
B) un OBIETTIVO, cioè un elenco di requisiti generali che la soluzione deve soddisfare
C) un PERCORSO che faccia arrivare da A a B

Spesso tutta questa situazione è esplorabile ad un livello solo mentale. Se dobbiamo attraversare in auto la città, dovremo farci un percorso nella testa. Quale sarà il migliore? Abbiamo così la possibilità dì sederci e giocare con i pensieri nella nostra mente,  manipolando sequenze e significati delle parole per affrontare realtà impreviste o raggiungere scopi insoliti. In tal modo noi possiamo usare complesse e differenziate forme di esplorazione e di esperimento in tutti i campi:
immagini, musica, giochi, scrittura, discorso, ecc.. Queste attività appaiono come il prolungamento nella vita adulta delle forme di gioco infantile o come una sovrapposizione delle “regole di gioco sul sistemi adulti di informazione e comunicazione. Queste regole si possono elencare nel modo seguente:

1 indaga su ciò che non conosci fino a che non ti è diventato familiare
2 effettua ripetizioni ritmiche di ciò che ti è familiare
3 varia questa ripetizione in quanti più modi è possibile
4 scegli le variazioni più soddisfacenti e sviluppale a spese delle altre
5 combina queste variazioni tra loro più volte
6 fai tutto questo per ciò che è come fine a se stesso


Di fronte ad un problema

 

Di fronte ad un problema, le teorie psicologiche contemporanee suggeriscono di:

1 AMPLIARE LE CONOSCENZE

più sono differenziate, più è facile che alcune siano pertinenti e in grado di superare il problema-ostacolo che si sta affrontando

2 CERCARE NUOVI RAPPORTI

a) rappresentandosi il problema in modi diversi
b) riesaminando le Informazioni date
c) traendo analogie con problemi risolti in precedenza
d) trovando nuove idee
e) esplorando i procedimenti a ritroso

3 SPIEGARE IL PROBLEMA A QUALCUNO

a)       cercando delle informazioni o dei limiti nascosti
b)       cercando errori di ragionamento
e)       cercando sovrastime di informazioni

4 ACCANTONARE IL PROBLEMA-OSTACOLO CONFIDANDO IN NUOVE ESPERIENZE


Soluzioni esaustive e euristiche

 

Affrontando un problema - ad esempio cercare un oggetto su vari scaffali - si hanno sempre due strategie da scegliere:
1 - vedere tutti gli scaffali
(strategia ESAUSTIVA, che è un compito eseguibile semiautomaticamente.
Per memorizzare la parola ESAUSTIVA pensate a “esausto”, come è uno che esausto per aver visto tutti gli scaffali.)

2 - individuare mentalmente il più probabile
(STRATEGIA EURISTICA, che è un problema specifico dell’intelligenza. Per memorizzare la parola EURISTICA pensate a ‘rischio‘,il rischio di non trovare così la soluzione.)

Nel primo caso la mente non compie lavori “nuovi”, esegue diligentemente un compito codificato, al contrario di ciò’ che succede nel secondo caso.

Ogni metodo che garantisca la soluzione di un problema è un algoritmo, e cioè una serie di azioni che costituiscono una via certa dallo stato iniziale dei dati fino allo “stato meta”. fino al raggiungimento dell’obiettivo.
I soli algoritmi disponibili nella maggior parte dei compiti sono delle ricerche esaustive, e se lo spazio problemico è ampio, possono essere eccessivamente costosi, occupando risorse tipo tempo, energia, ecc..
Un’alternativa è costituita dall’euristica, la ricerca selettiva di determinate vie attraverso lo spazio problemico, una ricerca che offre delle buone probabilità di trovare una soluzione, ma che non garantisce il successo. L’euristica così riduce il costo della ricerca, a rischio però di non risolvere problema,


Le fasi della soluzione di un problema

 

Il riconoscimento di avere di fronte un compito o un problema è l’origine di un pensiero. La fase successiva non deve però essere un tentativo diretto di rispondere convenientemente, ma il freno delle risposte impulsive, per permettere l’analisi delle componenti del problema, il riconoscimento degli aspetti essenziali e la loro correlazione.
Il cervello si occupa poi della scelta di un’alternativa tra le soluzioni possibili,, e della creazione di un piano o schema generale per l’esecuzione del compito, decidendo quale tra le alternative è più probabile, e, allo stesso tempo, rigettando le ipotesi deboli o inadeguate. Questa fase dell’atto intellettuale è la strategia generale di pensiero, la sua componente più sostanziale.
Ogni compito dà inevitabilmente origine ad un reticolo multiplo di alternative, tra cui il soggetto può scegliere sulla base della preponderanza di un particolare sistema di associazioni.
L’analisi delle componenti del problema e la scelta di un determinato sistema tra le possibili vie di soluzione, costituisce l’euristica.
Il momento successivo comporta la scelta tra i metodi appropriati e l’esame di quali operazioni saranno adeguate per condurre in porto la situazione, approntando lo schema generale di soluzione. Questo stadio di individuazione delle operazioni essenziali si chiama tattica, distinguendolo dallo stadio di scoperta della strategia.
Il processo di utilizzazione delle caratteristiche appropriate, è lo stadio OPERATIVO dell’atto intellettuale, piuttosto che il suo stadio creativo, sebbene esso sia talvolta di notevole complessità.

Il processo di pensiero passa attraverso parecchi sotto-stadi. Inizia con un ampia serie di azioni esterne successive (prove ed errori), continua con un ampliamento del linguaggio interiore, in cui si formano le ricerche necessarie e si assimilano informazioni nuove, e termina con la condensazione ditali ricerche esterne ed il passaggio a un processo interno specifico di chiarificazione del problema. Con ciò il soggetto è in grado di ottenere aiuto da sistemi di codici preformati (linguistici e logici, narrativi, numerici, ecc.) precedentemente appresi.
L’esistenza di questi codici interni ben assimilati, le varie sequenze di atti già sperimentate in passato costituiscono la base operativa dell’ “atto mentale”, ed è la base per l’esecuzione delle operazioni intellettuali richieste, fornendo un fondamento solido, abituale e già conosciuto per lo stadio operativo di pensiero.

Ciò è solamente il preludio allo stadio finale, che è la comparazione dei risultati ottenuti con le condizioni originali del compito, il che è chiamato l’ “accettore” - o giudice - del “risultato positivo dell’azione”.


LA DIVISIONE IN SOTTOPROBLEMI

Il metodo euristico spezza il problema in un insieme di SOTTOPROBLEMI, (nell’esempio specifico degli scaffali: “Quale sarà il più probabile?”) risolvendo i quali si giunge alla soluzione generale. I sottoproblemi definiscono ulteriormente il problema, e ognuno di essi può essere a sua volta suddiviso (“Quant’è grande l’oggetto? Può stare nei ripiani bassi?”).
Quel che abbiamo bisogno di fare è di COSTRUIRE e organizzare il problema, definendolo in modo da poterlo risolvere con procedure che ci siano usuali.
La soluzione dei sottoproblemi può richiedere di stabilire un’ulteriore gerarchia fra di essi. La soluzione di ogni sottoproblema dà un contributo a quella del sottoproblema soprastante.
Alcuni problemi possono essere definiti: “Problemi mal definiti”. Esempio: “Non riesco a trovare le chiavi dell’auto, dovrò guardare in tutti i vestiti, magari anche in quelli che ho portato in tintoria!” Così posto il problema è mal definito. Andrebbe impostato così: 
“Devo andare nel posto X, forse mi serve l’auto, ma magari potrei andare in metro. In ogni caso per l’auto mi occorrono le chiavi, ne ha una copia mia moglie, posso chiederla a lei oppure posso vedere accuratamente tutti i miei pantaloni”. Così definito in maniera più accurata, il problema presenta già varie alternative, alcune magari più semplici.

La soluzione dei problemi mal definiti implica una chiusura delle definizioni del problema, mediante la generazione di altre strutture che lo rendano più vicino ad un problema definito con esattezza, e se possibile, ad un caso per il quale la prassi di soluzione è ormai conosciuta.
Insomma, si scompone la meta in un insieme di sottoproblemi padroneggiabili che limitino e indirizzino le ricerche. Con una strutturazione di questo tipo, ogni problema mal definito tende ad essere ricondotto ad una serie di subroutine dominabili con l’esperienza e la conoscenza già acquisita.
Con l’analisi mezzi - fini (cosa “possiamo” fare e cosa “vogliamo” fare) si rilevano le differenze tra lo stato attuale e quello desiderato, tra i dati e la meta, e si cerca di ridurle determinando dei sottoproblemi - che possono essere meglio risolvibili, e che ci indichino cosa “dobbiamo” fare subito - e da quale azione concreta ci converrebbe iniziare.
Il metodo euristico continua riducendo le differenze e producendo sottoproblemi sinché non ne trova uno che è in grado di risolvere. Risale allora la sequenza, risolvendo nell’ordine tutti gli altri sottoproblemi, sinché non raggiunge la meta.
Gli stati di conoscenza - le sottosoluzioni che vengono man mano escogitate e acquisite  mostrano le informazioni che vengono progressivamente raccolte. I movimenti tra gli stati appaiono a volte casuali, con il soggetto che esplora prima un sottoproblema, poi un altro, tornando spesso indietro.


Il controllo esecutivo

 

Il passaggio all’esecuzione di una decisione mentale ha due parti: la condizione e l’azione. La CONDIZIONE è la verifica che va fatta su qualche stato di conoscenza (per esempio, negli scacchi: “Verifica se tocca al nero muovere”). Se la verifica ha esito positivo viene eseguita l’azione, in caso contrario il controllo passa ad un’altra situazione. L’AZIONE può essere un atto motorio, uno sguardo approfondito o un atto di modifica di qualcosa di memorizzato.
Le azioni operano serialmente, e cioè solo una alla volta, perché l’attenzione è concentrabile solo su di una cosa per volta.
I compiti impegnativi, quelli in cui bisogna decidere quali saranno le nostre prossime mosse, appaiono a livello di consapevolezza. Al contrario, i compiti abitudinari non richiedono un grande impegno alla memoria di servizio, e sono comparabili con le subroutines. Se si ha una notevole pratica, questi compiti si automatizzano, e possono non richiedere alcun controllo conscio.
Il cervello ha una lista di Istruzioni che determina quali sono le operazioni delle subroutines che devono essere utilizzate in una situazione. In ogni fase dell’elaborazione la routine esecutiva esegue delle verifiche per determinare quali saranno le operazioni successive. La sua flessibilità dipende dalla scelta delle prove di verifica. Ogni prova può avere due o più esiti, e per ogni esito vi è un’operazione specifica da applicare.
Supponiamo che io dica: “Dov’è il guasto? Forse nella parte elettrica.” A questo punto la routine esecutiva “decide” quali operazioni effettuare sulla base dei feedback - delle risposte della realtà -che riceve dalle verifiche, e che determinano inoltre la direzione che deve assumere la ricerca. Essa, in questo modo, viene limitata a una parte relativamente piccola dello spazio problemico. Non si verifica tutto, ma si individua il singolo sottocampo da controllare e il cui risultato e cruciale, sapendo prevedere il settore in cui è più probabile che si rintracci la soluzione.


Partire dalla soluzione e poi tornare indietro

La più grande invenzione del secolo scorso fu l’invenzione del metodo per inventare. Un elemento del nuovo metodo è appunto la scoperta di come procedere per colmare il divario tra le idee scientifiche e il prodotto conclusivo. È un procedimento di attacco disciplinato nei confronti di un ostacolo dopo l’altro.
Il metodo consiste nel partire dalla soluzione del problema, ovvero dall’effetto che si vuole ottenere. Si torna poi indietro, passo dopo passo, fino al punto dal quale si deve partire per raggiungere la soluzione o l’effetto desiderato. Questo è il metodo del racconto poliziesco, della poesia simbolista e delle scienze moderne.

L’operazione retrograda è un metodo euristico comunemente usato in matematica e in altri sistemi formali. Nella geometria, la dimostrazione di un teorema mostra come questo possa essere fatto derivare dagli assiomi. Un metodo che si rivela a volte utile, consiste nel partire dal teorema e procedere all’indietro sino a giungere agli assiomi. Il numero di vie che conducono dal teorema agli assiomi è relativamente piccolo, mentre quello delle vie che partono dagli assiomi è molto più grande (sono centinaia i teoremi che si possono dimostrare in base agli assiomi). Così è relativamente piu facile operare all’incontrario, partendo dalle informazioni date nei teoremi.


Partire dalla soluzione e poi tornare indietro

1 - enunciato del problema
2 - ipotesi sulle cause del problema
3 - esperimenti destinati a verificare ciascuna ipotesi
4 - risultati probabili degli esperimenti
5 - risultati effettivi degli esperimenti
6 - conclusioni sulla base dei risultati degli esperimenti.
Tutto ciò ha lo scopo di orientare il pensiero in modo preciso, e accertare che la natura non vi abbia indotto a credere di sapere quello che non sapete.

La scoperta scientifica non comincia con l’evidenza incontaminata e intatta dei sensi. Comincia con la semplice osservazione: osservazione senza influenze, senza pregiudizi, candida, innocente.


Gli ostacoli

 

Una delle prime abilità dell’intelligenza è comprendere e prevedere - anticipandoli e riconoscendoli - errori, trappole, blocchi, difficoltà.
Non bisogna evitare o farsi atterrire dalle difficoltà. Nella scienza, nell’arte, nella riparazione di un guasto o nell’affrontare uno dei vari problemi della vita, la comprensione autentica è sempre preceduta da un blocco. La chiave della comprensione della Qualità sta nell’accettarli con umiltà, Se siete di fronte ad un blocco, avete avuto la fortuna di incontrare un maestro.
Le difficoltà sono il solo istruttore di chi sa affrontare i problemi, di chi già all’inizio di un nuovo lavoro sa prevedere sia l’ostacolo, cioè il blocco che prima o poi arriverà, sia le vie d’uscita alternative – i "paracadute" - ottenibili con minima fatica.
Forse voi siete sicuri che in almeno qualcosa sbaglierete, ma se i fatti vi dimostreranno che avete recepito almeno un’informazione in più sul funzionamento di quel determinato meccanismo, allora il tentativo di riparazione non sarà stato inutile.

Se state svolgendo un lavoro e il vostro problema riguarda un oggetto particolare, ad esempio una vite,. forse non vi conviene pensare a"cosa essa e’". Questo ha cessato di essere una categoria di pensiero. Quello che vi interessa è che cosa essa FA e perché  lo fa. Ponete quindi delle domande alla realtà e all’oggetto. Alle domande si accompagnerà una discriminazione subliminale della qualità.
Non importa a quale soluzione arriverete fintanto che avrà della Qualità. Pensare alla vite come combinazione di rigidità e adesività, può condurre a soluzioni che implicano l’uso di percussioni o solventi. Un’altra soluzione potrebbe essere quella di andare in biblioteca a cercare un catalogo di strumenti meccanici, oppure chiamare un amico che si intende di meccanica. O anche estrarre la vite con un trapano, o eliminarla con la fiamma ossidrica. Oppure, grazie alle vostre meditazioni, potreste scoprire un nuovo metodo a cui nessuno ha mai pensato.


“Vedere il problema”: immagini, pensieri, idee

Che forma hanno le orecchie di un bracchetto? Quante finestre vi sono nel vostre) soggiorno? Che cos’è più scuro, un albero di Natale o un pisello surgelato? Che cos’è più grande, un porcellino d’India o un gerbillo? Un’aragosta ha la bocca? Quando si è in piedi, l’ombelico è sopra il polso? 
La maggior parte delle persone affermano di rispondere a domande del genere facendo appello a un’«immagine mentale». Visualizzano la forma, qualcosa, si direbbe, come evocare un dipinto mettendolo a disposizione dell’occhio della mente. Un’esperienza diversa da quella di rispondere a domande astratte tipo: «Qual è il nome da ragazza di tua madre?» o «Che cosa conta di più, le libertà civili o un minore tasso di criminalità?».
Le immagini mentali sono il motore che fa muovere i nostri pensieri sugli oggetti collocati nello spazio. Per riempire il bagagliaio di una macchina o cambiare la disposizione dei mobili, prima di metterci all’opera immaginiamo le diverse distribuzioni spaziali. L’antropologo Napoleon Chagnon racconta un episodio da cui si deduce l’uso ingegnoso che delle immagini mentali fanno gli indios yanomamù della foresta amazzonica. Per asfissiare un armadillo, avevano soffiato del fumo nella sua tana, e dovevano capire dove scavare per tirarlo fuori dal cunicolo, che poteva correre sottoterra per decine e decine di metri. A uno degli indios venne l’idea di infilare nell’imboccatura della tana una lunga liana con un nodo in fondo, spingendola fin dove arrivava. Gli altri premettero le orecchie contro il suolo per sentire il nodo sbattere contro le pareti del cunicolo e farsi un’idea della direzione che esso prendeva. Alla fine, il primo indio spezzò la liana, la tirò fuori, la distese sul terreno in quella direzione e iniziò a scavare dove essa finiva. Poco dopo trovò l’armadillo. Senza la capacità di visualizzare il cunicolo, e la liana e l’armadillo dentro di esso, gli Yanomamò non avrebbero messo insieme una serie di operazioni come infilare, ascoltare; spezzare, estrarre, misurare e scavare aspettandosi di trovare un animale.
Molte persone creative, di fronte a un problema, sostengono di «vederne» la soluzione in un’immagine. Faraday e Maxwell visualizzarono i campi elettromagnetici come minuscoli tubi pieni di fluido. Kekulé vide l’anello benzenico in un sogno in cui dei serpenti si mordevano la coda. Watson e Crick ruotarono mentalmente dei modelli di quella che sarebbe diventata la doppia elica del DNA. Einstein immaginò come sarebbe stato cavalcare un raggio di luce o far cadere una moneta in un ascensore che precipita a piombo. E scrisse: «La mia particolare abilità non sta nel calcolo matematico, ma piuttosto nel visualizzare effetti, possibilità e conseguenze».
Pittori e scultori, quando hanno un’idea, ne elaborano modelli mentali, e anche i romanzieri visualizzano scene e trame con l’occhio della mente prima di metterle su carta.
Pinker S., “Come funziona la mente”, Mondadori, pag. 307


L’illusione di Mosè

Nonostante le difficoltà del modello di Collins e Quillian, la procedura sperimentale consistente nel porre domande aí soggetti cosi che essi esplorino la propria memoria semantica si è dimostrata estremaniente feconda. Un buon esempio di tali esperimenti è la dimostrazione di Reder e Kusbit [1991] della cosiddetta «illusione di Mosè». L’illusione di Mosè si riferisce al fatto che molte persone rispondono alla domanda: «Quanti animali di ciascuna specie Mosè portò con sé sull’arca?» dicendo «Due». Naturalmente, nessun animale venne portato sull’arca da Mosè. Era Noè.
L’illusione di Mosè è un fenomeno molto robusto, e può essere suscitata anche attraverso altre domande, come Reder e Kusbit mostrano con i seguenti esempi. Se la domanda è: «Di quale paese è stata presidente Margaret Thatcher?» la risposta sarà «Gran Bretagna», anche se Margaret Thatcher è stata primo ministro, non presidente. Quando viene chiesto: «Chi trovò la scarpetta di vetro che Biancaneve perse al ballo?» la risposta sarà «Il principe», anche se fu Cenerentola, e non Biancaneve, a perdere la scarpetta al ballo. E ancora, quando viene chiesto «In quale super-eroe si trasforma Clark Kent quando entra in una cabina dell’ascensore?» la risposta sarà «Superman», anche se Clark Kent in realtà si trasforma in una cabina del telefono, non dell’ascensore.
Le persone di solito non notano l’errore contenuto nella domanda, alla quale rispondono comunque. Come è possibile? Perché le persone rispondono a una versione riveduta e corretta della domanda? Per chiarire questi interrogativi, Reder e Kusbit hanno chiesto a dei soggetti di rispondere a una serie di domande, alcune delle quali contenevano errori sul tipo dell’illusione di Mosè. I soggetti però avevano modo di studiare alcune delle risposte corrette già prima che venissero poste loro le domande. Ciò avrebbe dovuto rendere le risposte più facili da recuperare, e avrebbe dovuto accrescere la probabilità che i soggetti rilevassero l’errore nella domanda. Tuttavia, questa tecnica non permise di ridurre l’illusione di Mosè. Ciò indica che le persone non ricercano una corrispondenza esatta tra l’informazione contenuta nella memoria semantica e quella contenuta nella domanda, ma s’accontentano di una corrispondenza approssimata. Cosi, quando devono rispondere a una domanda le persone spesso ricorrono all’informazione che più s’avvicina a quella richiesta. Se uno si limitasse a recuperare solo le corrispondenze esatte, si troverebbe spesso a non spiccicare verbo! Cosi, la migliore strategia generale sembra quella di recuperare l’informazione che, nella situazione attuale, costituisce la migliore approssimazione. La persona potrà non dare una risposta completamente corretta, ma darà almeno una risposta. II che forse è quel che molti studenti fanno quando rispondono alle domande d’esame.


Via: www.ilpalo.com

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