Saturday 20 December 2008

Genio e idee

Come venivano le idee a Einstein

La creatività umana può essere paragonata ad una macchina che produce ipotesi, scenari e soluzioni diverse in modo quasi casuale, anche al di fuori di una logica strutturata? 
Per affrontare questo argomento si può partire da una citazione di Albert Einstein: 
“Non ritengo che le parole o il linguaggio scritto o parlato abbiano alcun ruolo nel meccanismo del miopensiero. Le entità psichiche che sembrano servire da elementi sono piuttosto alcuni segni oimmagini che nella mia mente entrano in un gioco combinatorio di tipo visivo e a volte muscolare”. 
Quest’affermazione può sembrare provocatoria, ma indica un aspetto delle procedure mentali tutt’altro che insolito e che può essere comune a persone geniali ma anche a quanti, più semplicemente, possiedono l’abilità di manipolare i numeri in modo eccezionale. È questo il caso dei cosiddetti “calcolatori viventi”; persone che “vedono” i numeri, li materializzano, li trattano come oggetti, li rimescolano tra di loro attraverso strategie mentali che sono ben diverse rispetto a quelle comuni a tutti noi.


Le definizioni ponte

Le nostre idee migliori sono spesso quelle che fanno da ponte tra due mondi diversi.
Ci aiutano a gettare un ponte tra i "fini" che perseguiamo, e i "mezzi" di cui disponiamo. Ci aiutano cioè a collegare le cose che sappiamo riconoscere (o costruire, trovare, realizzare o pensare) ai problemi che vogliamo risolvere.


Come venivano le idee a Mozart

Il musicista Wolfgang Amadeus Mozart scriveva: 
“Passeggiando in carrozza o dopo un buon pranzo i pensieri si affollano nella mia mente in modo quasi giocoso. Da dove arrivano? E come? Non lo so. 
Quando i pensieri musicali mi piacciono, li tengo a mente, li canticchio a bocca chiusa. Quando il mio tema è formato, ecco arrivare un’altra melodia che si concatena con la prima. L’opera nasce. 
E’ allora che la mente afferra l’intera composizione, come un solo sguardo riesce ad abbracciare una bella ragazza.”

Mozart indica un modo singolare e individuale di ricombinare frasi musicali, elementi singoli in un tutto organico. Egli sembra avere un’idea globale e tutto il resto diventa una sorta di automatico bricolage della sua mente, come se questa lavorasse autonomamente e senza pressioni. Questo aspetto, che ovviamente non deve far passare in seconda linea il lungo lavoro e impegno che è alle spalle di ogni attività di tipo creativo, sembra far parte della capacità di generare elementi nuovi in modo quasi ludico, o di individuare delle valenze insolite in una realtà altrimenti già nota.
Oliviero A., “Esplorare la mente”, Raffaello Cortina Editore, pag. 80


Il genio persevera nella ricerca di modi migliori di apprendere

Quando incontriamo di persona dei grandi pensatori, in loro non riscontriamo nessuna eccezionale predisposizione, ma solo combinazioni di ingredienti in sé affatto comuni.
Questi eroi sono per la maggior parte fortemente motivati, ma anche molte altre persone lo sono. Di solito sono molto bravi in certi campi, ma questa, in sé, la chiamiamo di solito perizia. Spesso hanno abbastanza fiducia in sé da tener testa al disprezzo dei colleghi, ma, in sé, questa qualità potremmo semplicemente chiamarla ostinazione. Certo essi pensano le cose in modi nuovi, ma questo capita a tutti di tanto in tanto. 
Ho l’impressione che per il genio ci voglia un’altra cosa ancora: per accumulare qualità eccezionali, occorrono modi straordinariamente efficaci di apprendere. Non basta imparare molte cose, si deve anche gestire ciò che s’impara. I maestri, sotto la superficie della loro maestria, hanno alcune speciali abilità proprie di una competenza di "ordine superiore", che li aiutano ad organizzare e a fare uso delle cose che apprendono. Sono questi trucchi nascosti di gestione mentale a produrre i sistemi che creano le opere di genio.

Perché certe persone apprendono molte abilità e abilità più efficienti? Queste importantissime differenze potrebbero avere origine in incidenti avvenuti nell’infanzia. Un bambino scopre modi intelligenti di sistemare i blocchetti in fila e in colonna, un altro bambino gioca a risistemare i propri modi di pensare. Ora, mentre tutti possono elogiare le torri del primo, nessuno è in grado di vedere ciò che ha fatto il secondo bambino, anzi, se ne può persino ricavare la falsa impressione che egli manchi di industriosità. 
Ma se il secondo bambino persevera nella ricerca di modi migliori di apprendere, può darsi che ciò lo conduca a uno sviluppo silenzioso in cui alcuni di questi modi migliori di apprendere possono sfociare in modi migliori di imparare ad apprendere. In seguito, osserveremo un mutamento qualitativo impressionante - senza causa apparente - al quale daremo un qualche nome vuoto cometalento, attitudine o dono.
Minsky Marvin, "La società della mente", Adelphi, pag. 149


I geni non rimuovono i problemi, s’impegnano invece nel "porsi i problemi in modo creativo".

Siamo tutti creativi. Ogni volta che mettiamo sotto la gamba di un tavolo traballante il primo oggetto che ci capita sottomano, o escogitiamo un nuovo modo per convincere un bambino a infilarsi il pigiama, facciamo uso delle nostre capacità di creare un nuovo risultato. I geni creativi, però, non si distinguono solo per le loro opere straordinarie, ma anche per il loro straordinario modo di funzionare. Ascoltano la loro musa e sfidano la saggezza convenzionale. Lavorano quando li prende l’ispirazione, e hanno intuizioni fulminanti mentre noi altri arranchiamo faticosamente lungo sentieri battuti. Mettono un problema da parte, lasciandolo in incubazione nell’inconscio; poi un giorno, senza preavviso, si accende una lampadina, ed ecco presentarsi una soluzione bell’e fatta.

Woody Allen coglie questa immagine nel racconto «Se gli impressionisti fossero stati dentisti», costituito da una serie di immaginarie lettere scritte da Vincent van Gogh. In un momento di angoscia e disperazione, Vincent scrive al fratello: 
"La signora Sol Schwimmer mi fa causa perché le ho fatto un ponte come me lo sentivo e non sulla misura della sua stupida bocca! Proprio così! 
Io non posso lavorare su ordinazione come un volgare commerciante
Ho deciso che il suo ponte doveva essere enorme e fluttuante, con denti selvaggi che spuntano in ogni direzione come lingue di fuoco! Adesso è sconvolta perché non le entra in bocca! ... Ho tentato di cacciarle la dentiera in bocca, ma esce fuori come un lampadario veneziano. 
Eppure la trovo bella".

I geni sono degli sgobboni. In genere sudano sangue per almeno dieci anni prima di produrre qualcosa che duri. (Mozart componeva sinfonie a otto anni, ma non erano eccezionali; il primo capolavoro arrivò al dodicesimo anno della sua carriera.) Durante l’apprendistato, si immergono totalmente nel loro campo. Assimilano decine di migliaia di problemi e soluzioni, per cui nessuna sfida è per loro del tutto nuova e possono attingere da un vasto repertorio di motivi e strategie. Tengono d’occhio la concorrenza e la direzione in cui spira il vento, e, nella scelta dei problemi da affrontare, sanno discriminare o sono fortunati. (Quelli sfortunati, anche se dotati di talento, non verranno ricordati come geni.) 
Si preoccupano della stima di cui godono e del loro posto nella storia. I geni lavorano giorno e notte, e ci lasciano molte opere che di geniale non hanno granché. (Wallace ha trascorso gli ultimi anni della sua carriera cercando di comunicare con i morti.) Gli intervalli in cui distolgono l’attenzione da un problema sono utili non tanto perché nel frattempo il problema fermenta nell’inconscio, quanto perché sono sfiniti e hanno bisogno di riposo (e forse hanno così modo di dimenticare i vicoli ciechi). 
I geni non rimuovono i problemi, s’impegnano invece nel "porsi i problemi in modo creativo". Rivedono costantemente il lavoro, avvicinandosi passo a passo al loro ideale, utilizzando una mente adattata e combinatoria.
Pinker S., “Come funziona la mente”, Mondadori, pag. 387

I geni  hanno fiducia in se stessi, e non si disperano di fronte all’insolubile. Hanno la calma sufficiente per accettare di “non saper dove sbattere la testa” rispetto al problema principale, ma intantoagiscono su un problema secondario.


Da dove prendiamo le idee che ci servono?

Da dove prendiamo le idee che ci servono? 
I nostri concetti derivano per la maggior parte dalle comunità nelle quali siamo cresciuti. Perfino le idee che “abbiamo” da soli provengono da comunità, le comunità che abbiamo nella testa. Il cervello non fabbrica i pensieri negli stessi modi diretti in cui i muscoli sviluppano forza. Per avere una buona idea bisogna invece mettere in gioco colossali organizzazioni di sottomacchine mentaliche svolgono un’ampia varietà di compiti. Ogni cranio umano contiene centinaia di tipi di calcolatori, sviluppatisi in centinaia di milioni di anni di evoluzione, ciascuno con un’architettura un po’ diversa.

Ciascuna agenzia specializzata deve imparare a rivolgersi ad altri specialisti che possano servire ai suoi scopi. Certe sezioni del cervello distinguono i suoni delle voci dai suoni di altro genere; altre agenzie specializzate distinguono le “immagini dei volti” da oggetti di altro tipo. Nessun o sa quanti organi diversi di questo genere siano contenuti nel nostro cervello. Ma, quasi certamente, tutti impiegano tipi di programmazione e forme di rappresentazione lievemente diversi; non hanno un linguaggio codificato comune.
Minsky Marvin, "La società della mente", Adelphi, pag. 121


Intuizioni illuminanti: quando e come vengono le idee è un mistero

Le massime scoperte intellettuali dell’umanità hanno avuto un’origine misteriosa. Helmholtz disse che le sue idee più felici «si insinuarono spesso nel mio pensiero senza che io ne sospettassi l’importanza... In altri casi arrivarono improvvisamente, senza alcuno sforzo da parte mia ... Amavano presentarsi alla mia mente specialmente mentre camminavo senza fretta».
Un altro scienziato ha confermato che molte delle sue idee più grandi gli venivano in modo così improvviso mentre stava radendosi, che ogni mattina doveva fare molta attenzione quando usava il rasoio per evitare di tagliarsi per la sorpresa. 
Un ben noto fisico inglese disse una volta a Wolfgang Kòhler: «Nella nostra scienza le grandi scoperte si fanno in tre posti: in autobus, in bagno e a letto».

Il punto essenziale, qui, è che ci sono varie fasi di pensiero creativo: prima una fase di preparazione, in cui il problema viene elaborato in modo cosciente; poi un periodo di incubazione, senza alcuna concentrazione cosciente sul problema; e poi l’illuminazione, che è giustificata successivamente dalla logica
Julian Jaynes, “Il crollo della mente bicamerale”, Adelphi pag. 65


Le persone creative ammettono il disordine nelle loro percezioni

Le persone creative sono particolarmente pronte ad ammettere una certa complessità ed anche un certo disordine nelle loro percezioni, senza manifestare ansietà per il caos che potrebbe risultarne.
Non è che essi amino il disordine in se stesso, ma è che preferiscono la ricchezza del disordine alla spoglia aridità della semplicità. La molteplicità disordinata sembra stimolarli e fa nascere in loro un bisogno profondo, sostenuto da una forte capacità di riuscire a riordinare la ricchezza che vogliono sperimentare, riordinamento che si farà malgrado le difficoltà e che giungerà al massimo.
Ogni volta che una persona fa uso della sua intelligenza per un qualunque scopo, essa effettua sia un atto di percezione (prende coscienza di qualche cosa) sia un atto di giudizio (giunge ad una conclusione a proposito di qualche cosa). La maggior parte delle persone tendono a mostrare una marcata preferenza per l’uno o l’altro di questi procedimenti – percezione e/o giudizio - e a prendere piacere più con l’uno che con l’altro: per quanto ciascuno percepisca e giudichi, alcuni preferiscono percepire, altri giudicare.
Una preferenza abituale per l’atteggiamento di giudizio può condurre ad alcuni pregiudizi, e in ogni modo ad una esistenza organizzata, controllata ed accuratamente pianificata. Una preferenza perl’atteggiamento percettivo comporta una esistenza più aperta all’esperienza interna ed esterna, caratterizzata dalla flessibilità e dalla spontaneità. Colui che giudica dà maggior importanza alcontrollo e alla regolazione dell’esperienza, mentre il percettivo ha tendenza ad essere più aperto e recettivo a qualunque esperienza.

Si potrebbe supporre che le persone creative non sono legate allo stimolo e all’oggetto, ma sono costantemente sul chi vive al fine d’individuare ciò « che non è stato ancora realizzato ». Ed è precisamente il modo in cui esse si rivelano in alcuni test. In contrasto con il fatto che il 25% della popolazione in generale è costituito da intuitivi, sono intuitivi il 90% degli scrittori, il 92% dei matematici, il 93% dei ricercatori e il 100% degli architetti.

Per giudicare o valutare l’esperienza, si può far uso delle nozioni di «pensiero» o di «sentimento». Il «pensiero» è un processo logico che cerca di effettuare un’analisi obiettiva che tiene conto dei fatti, mentre il «sentimento» è un processo d’apprezzamento delle cose che dà loro un valore personalee soggettivo. 
Dai test risulta che gli scrittori preferiscono i sentimenti. I matematici, i ricercatori e gli ingegneri preferiscono il pensiero, mentre gli architetti, dividono le loro preferenze in parti uguali per ciascuna di queste due funzioni.
Beaudot A., “La creatività”, Loescher, pag. 156

Queste preferenze, all’interno delle coppie contrapposte “percezione-giudizio”, “sentimenti-pensiero”, “complessità-semplicità”, sono legate ad un atteggiamento generale nei confronti del vissuto. Lapreferenza per la complessità è associata ad un atteggiamento percettivo che cerca di far entrare nel sistema percettivo la maggior ricchezza di esperienza possibile, anche se deve risultarne incoerenza e disordine. 
La preferenza per la semplicità, è associata ad un atteggiamento percettivo che lascia entrare nel sistema solamente ciò che può essergli integrato senza turbamento né disordine, a rischio di escludere alcuni aspetti della realtà.

Le persone originali preferiscono la complessità ed un certo squilibrio apparente nei fenomeni. Hanno una personalità psicodinamica più complessa ed una maggior « apertura » personale. Sono più indipendenti nei loro giudizi.
Beaudot A., “La creatività”, Loescher, pag. 137


Libertà di lasciarsi dominare dall’oggetto

Si comincia a scrivere un poema. Subito il poema manifesta sue esigenze metriche, ritmiche e simboliche. Il testo imperfetto obbliga alle correzioni. L’autore del poema – che all’inizio “dava gli ordini” scrivendo quel che preferiva - si ritrova al servizio del prodotto che ha iniziato.
Un’esperienza ha bisogno, nell’ambito del suo svolgimento, di un gruppo che muove i primi passiverso la meta, e di un altro gruppo di controllo per confermare le conseguenze dei primi passi. È a questo punto che si ha un «secondo soffio» creativo, quando l’oggetto che si è iniziato a creare,prende il sopravvento
Sembra una tendenza a completare l’incompiuto.

Quando si raggiunge la linea di spartiacque, allora il lavoro possiede una struttura che comincia adesigere di essere terminata, sia che si tratti di un dipinto, di un’avanzata militare, di un “riordino di una stanza” o di un libro. L’opera appena iniziata non da requie, chiama, ordina e pretende che si diano inizio ai lavori successivi, diventa un padrone esigente. Si racconta che George Simenon — l’autore del Commissario Maigret — aveva l’abitudine di farsi vedere dal suo medico prima di gettarsi nella faticosa stesura di un nuovo romanzo.

Ho letto molti diari intimi di scrittori e propenderei per la conclusione che ciò che impedisce soprattutto di terminare troppo rapidamente un’opera, almeno nell’ambito della letteratura, è la noia. È il disagio di questo conflitto: sapere nel profondo di se stessi che si vuol dire qualcosa e sapere di non averla detta. Si agisce dapprima sotto l’impulso di sfruttare un’idea. Si agisce anche sotto l’impulso della noia e si ritarda la realizzazione
Beaudot A., “La creatività”, Loescher, pag. 277

Virginia Woolf dice, nel momento in cui cerca di finire il suo libro “Orlando”:
«L’ultimo capitolo mi sfugge continuamente dalle mani. È la noia. Bisogna costringersi con violenza. Aspetto sempre un nuovo soffio, e non mi preoccupo molto, a parte il fatto che rimpiango il piacere così vivo che provavo durante la stesura della prima parte.»


I processi di pensiero di Einstein

Il pensiero scientifico non dipende da una folgorazione divina la soluzione imprevista di un problema, ma da un processo mentale di riorganizzazione dei dati già acquisiti. Gli studi recenti dimostrano che il pensiero scientifico non è qualche cosa di eccezionale, ma un insieme di strategie e fenomeni che si verificano nel cervello, i quali possono essere potenziati anche in quegli individui in cui non sono ancora pienamente realizzati.
Albert Einstein dette una testimonianza precisa e preziosa dei suoi processi di pensiero, rispondendo al matematico Jacques Hadamard che stava conducendo un’indagine sulla creatività dei matematici:
Caro collega,
qui di seguito cerco di rispondere brevemente alle vostre domande per quanto mi è possibile. Io stesso non sono soddisfatto di queste risposte e desidererei rispondere ad altre domande se credete che ciò possa avere qualche vantaggio per il lavoro interessante e difficile che avete intrapreso.
(A). 
Non sembra che le parole o il linguaggio, sia scritto che parlato, abbiano un qualche ruolo nel meccanismo del pensiero. Le entità psichiche che sembrano servire come elementi del pensiero sono certi segni e immagini più o meno chiare che possono essere riprodotte e combinate « volontariamente ».
Naturalmente c’è una certa connessione tra questi elementi e i concetti logici rilevanti. È chiaro pure che il desiderio di arrivare finalmente a dei concetti logicamente connessi è la base emotiva di questo gioco piuttosto vago con gli elementi summenzionati. Ma da un punto di vista psicologico, questo gioco combinatorio sembra essere la caratteristica essenziale del pensiero produttivo: prima c’è qualche connessione con la costruzione logica a parole o altri tipi di segni che possono essere comunicati ad altri.
(B). 
Nel mio caso gli elementi summenzionati sono del tipo visivo e qualcuno del tipo muscolare. Le parole convenzionali o altri segni devono essere ricercati con fatica solo in un secondo stadio, quando il suddetto gioco associativo è sufficientemente stabilizzato e può essere riprodotto a volontà.

Prima una forma di pensiero visivo e poi la traduzione dei suoi prodotti in parole o altri segni convenzionali (formule, equazioni, ecc.) per comunicare quei prodotti agli altri individui. Questo processo è ben delineato nell’Autobiografia di Einstein: « Per me non c’è dubbio che il nostro pensiero proceda in massima parte senza far uso di segni (parole), e anzi assai spesso inconsapevolmente ». I segni intervengono nella comunicazione: « Non è affatto necessario che un concetto sia connesso con un segno riproducibile e riconoscibile coi sensi (una parola); ma quando ciò accade, il pensiero diventa comunicabile ».
I processi di pensiero di Einstein furono un argomento centrale del libro di Wertheimer già ricordato a proposito di Gauss. Wertheimer era un intimo amico di Einstein: entrambi professori a Berlino, si trasferirono negli Stati Uniti durante il nazismo. Wertheimer si era basato, per spiegare il pensiero di un Gauss o di un Galileo, su un’analisi retrospettiva. Per il pensiero di Einstein attinse dalla testimonianza del suo stesso « produttore »: « Furono giorni meravigliosi quelli, cominciati nel 1916, in cui ebbi la fortuna di sedere assieme a Einstein per ore e ore, soli nel suo studio, e di udire da lui la storia del drammatico svolgimento di pensiero che culminò nella teoria della relatività. Nel corso di quelle lunghe discussioni feci a Einstein domande dettagliate riguardo gli eventi concreti del suo pensiero. Egli me li descrisse non in modo indeterminato, ma discutendo con me la genesi di ciascun problema».
Nella conversazione di Wertheimer con Einstein si ripresentano le affermazioni sul rapporto pensierolinguaggio (« Io penso assai di rado con le parole: prima ho un pensiero e solo in seguito posso cercare di esprimerlo a parole ») e sulla visualizzazione dei problemi («[.,.] durante tutti quegli anni ci fu la sensazione di una direzione, dell’andare direttamente verso qualcosa di concreto. Naturalmente è molto difficile esprimere a parole quella sensazione [... ] naturalmente dietro a una tale direzione c’è sempre qualcosa di logico, ma in me è sempre presente sotto forma di una specie di sguardo generale; in un certo senso, in modo visivo »).
L’interpretazione che Wertheimer dette del « pensiero che portò alla teoria della relatività » è stata di recente criticata per essere stata più una ricerca « forzata » per convalidare la teoria di Wertheimer stesso sul « pensiero produttivo » che una ricostruzione storica corretta. Wertheimer delineò il processo di pensiero di Einstein come una sequenza di ristrutturazioni concettuali fino alla introduzione di una nuova « visione » del problema determinata dal ruolo primario assunto da un elemento precedentemente secondario (la velocità della luce come costante). Esso sarebbe divenuto la chiave per riconsiderare in una nuova struttura concettuale (la teoria della relatività) tutti gli altri elementi della fisica classica (spazio, tempo, movimento, ecc.).
Mecacci L., “Identikit del cervello”, Laterza, pag. 115


La forte sensazione di sapere quando arriva la battuta successiva

La musica ha un ruolo particolarmente importante, poiché la forte sensazione di sapere quando arriva la battuta successiva, e di chiusura imminente nella risoluzione di una settima diminuita, ci afferra e ci tiene fermi come nessun altro linguaggio sa fare. Agire insieme è la base per avere fiducia reciproca ed esistono poche forme di azione congiunta piú forti e piú intime della danza collettiva a uno stesso ritmo. La varietà e l’ubiquità dei neuromodulatori suggerisce che il disapprendimento, che è un preludio all’apprendimento di nuovi significati assimilati mediante azione cooperativa, è determinato dalla liberazione di uno o piú neuromodulatori nel cervello. Mi pare che l’azione di tali sostanze chimiche possa allentare la trama sinaptica del neuropilo e aprire la strada al cambiamento globale. Un esempio è dato dal ricordo della musica che stavamo ascoltando quando ci siamo innamorati.
Freeman W., “Come funziona il cervello”, Einaudi, pag. 191


Costruire ambiguità: il quiz sul lago ghiacciato

Gick e Lockhan [1995] hanno proposto una semplice tecnica per costruire problemi di insight che il lettore può provare ad applicare. Essi osservano che la chiave di un enigma sta nel far si che inizialmente il solutore del problema interpreti l’informazione in modo scorretto. Un modo per riuscirci è scegliere una parola che possa essere interpretata in più d’un modo. Ad esempio, la parola lagopuò riferirsi a una massa d’acqua sia ghiacciata sia liquida. E possibile costruire un enigma facendo si che il solutore del problema debba usare il significato meno accessibile per venire a capo di ciò che viene detto. L’esempio dato da Gick e Lockhart è: «La pietra rimase sulla superficie del lago per tre mesi, poi sprofondò adagiandosi sul fondo a una decina di metri dalla superficie». La soluzione potrà emergere solo se il solutore del problema si rende conto che all’inizio il lago era ghiacciato.


Creatività e scoperta di problemi

Gli psicologi interessati alla creatività e al pensiero originale hanno dedicato particolare attenzione al processo di scoperta di problemi. Mackworth [1965] è stato tra i primi a distinguere tra la capacità di risolvere un problema e la capacità di scoprire un problema. Questa distinzione è stata formulata nel modo seguente: «La capacità di risolvere un problema dipende dalla scelta tra programmi o regole mentali già esistenti - d’altra parte, invece, la capacità di scoprire un problema ha a che fare con il riconoscimento del bisogno di un nuovo programma e dipende dalla scelta tra quelli che sono i programmi esistenti e quelli che ci si aspetta siano i programmi futuri» [ibidem, 57]. Il processo di soluzione di problemi conduce alla soluzione di problemi ben definiti, mentre il processo di scoperta di problemi conduce alla formulazione di una serie di domande a partire da problemi mal definiti.
Forse il ricercatore maggiormente conosciuto all’interno di quest’area di ricerca è Getzels [1975]. Getzels ha osservato che la capacità di scoprire problemi potrebbe apparire a molti come un lusso che non sempre ci possiamo permettere dal momento che abbiamo già abbastanza problemi da risolvere. Che bisogno c’è di trovarne di nuovi? È possibile rispondere a questa domanda dicendo che la qualità della soluzione spesso dipende dal modo in cui il problema è stato formulato. A questo proposito, Getzels cita Einstein:
La formulazione di un problema spesso è più cruciale della sua soluzione, dal momento che la soluzione non dipende che dall’applicazione di capacità di tipo matematico e sperimentale. La capacità di porre domande nuove, di definire nuove possibilità e di considerare le domande usuali da una nuova prospettiva, invece, richiede un’immaginazione creativa e segna il reale progresso scientifico [ibidem, 12].

La capacità di scoprire problemi non è utile soltanto nell’ambito della ricerca scientifica. Getzels [ibidem, 151 ci fornisce il seguente esempio a proposito dell’applicazione di questa capacità nella vita di tutti i giorni. Immaginate di trovarvi nella situazione di dovere sostituire un pneumatico della vostra automobile in una strada di campagna non trafficata. Nella vostra automobile non c’è un cricco e voi potreste formulare il vostro problema come quello di trovare un cricco. Una delle soluzioni possibili a questo problema potrebbe essere quella di andare a piedi a cercare un cricco nel centro abitato più vicino. Alternativamente, potreste definire il vostro problema come quello di sollevare l’automobile. Questo modo di formulare il problema è maggiormente produttivo dal momento che vi consente di immaginare la possibilità di risolvere il problema per mezzo di oggetti diversi dal cricco. Nell’esempio descritto da Getzels, l’individuo che definisce il problema come sollevare l’automobile nota che vi è una carrucola attaccata ad un fienile nelle vicinanze ed è in grado di sostituire il pneumatico spingendo l’automobile in prossimità del fienile e sollevandola per mezzo della carrucola. La soluzione creativa è resa possibile dal modo in cui il problema è stato formulato.


Blocco creativo

Un creativo può soffrire In modo ricorrente di periodi nel quali è del tutto Incapace di produrre, a dispetto degli sforzi più disperati. È un interessante stato di malessere mentale. Può essere effetto di una depressione, ma può anche essere conseguenza del tentativo di iniziare prematuramente a lavorare su una nuova opera, prima che sia trascorso il tempo necessario richiesto dal processo di incubazione.
Per le persone fornite di un Super-lo potente (che li stimola in continuazione ad agire, e a darsi da fare), è spesso molto difficile rendersi conto di star facendo qualche cosa di utile negli stadi preliminari di una nuova opera, quando sognare ad occhi aperti, rimuginare continuamente delle idee, leggere, ascoltare, e sperare passivamente che le cose vadano bene, possono tutti essere modi ed elementi per portare alla luce la concezione non formulata. Come risultato si ha che tali persone fanno delle partenze false e tendono ad una perfezione prematura. Per esse è importante tener conto della verità (consapevolmente unilaterale) contenuta nella massima cinese: "Non c’è nulla che non possa essere ottenuto con l’inazione".


Blocco creativo I creativi sono contraddistinti da un grado eccezionale di divisione tra gli opposti


Così come l’uomo medio è Inconsapevole di possedere un lato femminile e si Identifica interamente nella propria maschilità, così egli è anche non cosciente che altre caratteristiche, comprese alcune delle quali potrebbe andare orgoglioso, sono controbilanciate all’interno dal loro opposti.
I creativi sono contraddistinti da un grado eccezionale di divisione tra gli opposti, e anche da un’eccezionale consapevolezza di tale divisione. Un esempio è gli opposti maschio-femmina. Un altro è il contrasto tra l’ossessività che spinge verso un’eccessiva simmetria e la preferenza per l’asimmetria e la complessità. Come può un uomo essere coatto, rigido e inibito, e allo stesso tempo essere flessibile, loquace ed espansivo?
Gli uomini di genio sono caratterizzati dal possesso di emozioni eccezionalmente forti e in genere da una capacità egualmente forte di contenerle.
Nei nevrotici ossessivi - che, ad esempio, ripongono tutto nei cassetti, ma i cui cassetti rimangono caotici - l’esattezza rituale è In realtà una difesa; e ciò è Inevitabile In quanto il mondo interno dell’ossessivo è più disordinato, più sregolato e più aggressivo di quello dell’uomo medio. La stessa cosa è vera per il creativo, ma la sua consapevolezza e tolleranza del proprio caos interno è molto più ampia di quella di molti nevrotici, e i cui rituali sono più creativi che sterili. Creatività e nevrosi non sono la stessa cosa, ma possono coesistere in una determinata persona.
L’accresciuta consapevolezza degli opposti Interni, che caratterizza il creativo in opposizione al nevrotico, può avere la sua origine nell’altrettanto tipico rafforzamento della reazione a tutti gli stimoli. La sensibilità per ciò che accade intorno, che può forse spiegare lo sviluppo prematuro dell’Io del creativo, è molto probabilmente accompagnata da una corrispondente sensibilità agli stimoli provenienti dall’interno.
Ci sono test Impiegati per scoprire il potenziale creativo,. che chiedono al soggetto di pensare a tutti gli usi possibili a cui potrebbe essere adeguato un oggetto, oppure di attribuire tutti i significati che può ad un elenco di parole, o, ancora meglio, di completare del racconti in vari modi; essi sono tutti adatti a valutare sia la scorrevolezza dell’espressione che l’invenzione. La creatività, tuttavia, non consiste semplicemente nel dar sfogo all’immaginazIone; può ben richiedere la facilità d’espressione e l’immaginazione, ma richiede anche un certo livello di autocritica e di giudizio. L’operazione simultanea degli opposti è un "sine qua non” della creatività.
Un altro modo di considerare questi stessi opposti è di studiare contenuto e forma. La forma priva di contenuto emotivo è sterile: l’emozione non contenuta sul piano formale è semplice autoespressione, non dà garanzie di poter essere compresa. Una delle ricerche più Interessanti potrebbe essere quella di verificare l’incidenza dei casi In cui l’ispirazione si presenta alla persona creativa in una forma disorganizzata e incontrollata, e la frequenza in cui
forma e contenuto appaiono insieme. I geni variano molto a questo riguardo. Beethoven era costretto a fare numerosi tentativi di rimodellare le sue idee musicali prima che queste assumessero la loro forma finale. Mozart era in grado di sottrarsi a quella fatica, poiché a lui forma e contenuto apparivano Insieme come una singola ispirazione.


Via: www.ilpalo.com

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