Saturday 20 December 2008

La comunicazione non verbale

Perché i francesi agitano le braccia?

 

Figlia. Papà, perché i francesi agitano sempre le braccia quando parlano? 
Padre. Be’... supponiamo che tu stia parlando con un francese e che lui stia agitando le braccia, e poi, dopo che tu hai detto qualcosa, lui smetta improvvisamente di gesticolare, e parli soltanto. Che cosa penseresti? 
Figlia. No... mi spaventerei. Penserei di aver detto qualcosa che lo ha offeso, e forse potrebbe essersi arrabbiato sul serio.
Padre. Già... e forse avresti ragione. Dopo tutto il problema è di sapere che cosa un francese dice a un altro francese col suo gesticolare. E abbiamo già un pezzo della soluzione: gli dice qualcosa su ciò che prova nei confronti dell’altro tizio. Gli dice che non è arrabbiato sul serio.
Figlia. Quindi tu sostieni che tutto, nella conversazione, si riduce a dire agli altri che non si è arrabbiati con loro
Padre. Ho detto così? No... non tutto nella conversazione, molto però sì. 
A volte, se i due interlocutori hanno voglia di ascoltare con attenzione, è possibile far qual cosa di più che non scambiarsi saluti e auguri. Si può addirittura far di più che scambiarsi informazioni: i due possono persino scoprire qualcosa che nessuno dei due prima sapeva.
Figlia. Perché la gente non dice semplicemente: “Non ce l’ho con te “e la pianta lì?
Padre. Ah, ora arriviamo al vero problema. Il punto è che i messaggi che ci scambiamo coi gesti sono in realtà una cosa diversa da qualunque traduzione in parole che possiamo dare di quei gesti. Per quanto si dica a qualcuno, impiegando solo “parole pure e semplici”, che si è o non si è arrabbiati, non è la stessa cosa che dirglielo con i gesti o con il tono della voce. Il punto è che non esistono parole pure e semplici. Vi sono soltanto parole con gesti o con tono di voce o con qualcosa del genere. 
La balordaggine è basarsi sull’idea che esistano le parole pure e semplici ... e invece non ci sono.
Bateson G., “Verso un’ecologia della mente”, Adelphi, pag. 46


Il linguaggio dei gesti

Lo sviluppo dirompente del linguaggio può essere cominciato solo centomila anni fa (soltanto un attimo, in termini evolutivi). Il gesto, come linguaggio comunicativo, è ben più antico di quel sofisticatissimo strumento che è la parola. Uno svantaggio della comunicazione a gesti, è che richiede una costante attenzione visiva da parte di chi riceve il segnale.


Il movimento degli occhi come fonte d’informazione

Noi utilizziamo i movimenti oculari per stimolare il nostro cervello. Per esempio, per riflettere o per ritrovare un ricordo, si tende ad alzare gli occhi per creare delle immagini o, ancora, abbassare la testa per meglio concentrarsi e ritrovare la sensazione piacevole o spiacevole legata alla situazione, o, ancora, mentre si parla a se stessi.


Il contatto oculare e il segnale della «ritrosia»

Uno dei primi segni dell’imminente crisi del rapporto fra il principe Carlo e la principessa Diana raccolto dai paparazzi fu il fatto che, nelle loro apparizioni in pubblico, non si guardavano più negli occhi. Noi attribuiamo grande importanza al contatto oculare. Come dice il vecchio adagio: non fidarti mai di un uomo che non ti guarda negli occhi.
L’uso del contatto oculare è particolarmente importante nei primi approcci, specialmente per le donne. Studi dei comportamenti in bar frequentati da singles, rivelano che i maschi sono sorprendentemente riluttanti ad avviare relazioni con donne, a meno che non abbiano ricevuto untacito incoraggiamento con segnali come il contatto oculare. I due segnali più importanti sotto questo aspetto sono un forte e costante contatto oculare, e il cosiddetto segnale della«ritrosia», in cui il contatto oculare è mantenuto solo per un secondo, dopo di che l’occhio guarda altrove, mentre la persona abbozza un lieve sorriso o arrossisce (spesso lo sguardo diretto è seguito, un istante dopo, da una seconda rapida occhiata con la coda dell’occhio).
Dunbar R., “Dalla nascita del linguaggio alla Babele delle lingue”, Longanesi, pag. 221


I gesti sono la manifestazione esteriore delle immagini che accompagnano il linguaggio interno

 

L’atto linguistico è spesso accompagnato da segnali tono verbali.
McNeill [1980; 1985a; 1985b, 1989] ha distinto tra gesti iconici e gesti metaforici. 
Un gesto iconico esprime un significato simile a quello espresso verbalmente. Un individuo che descrive verbalmente l’atto per mezzo del quale è possibile piegare qualcosa all’indietro, per esempio, potrebbe sollevare una mano come se stesse afferrando qualcosa per cercare di tirarla verso di sé [McNeil 1985b, 355].
I gesti metaforici, invece, hanno una relazione indiretta nei confronti di quello che viene espresso verbalmente. Spesso costituiscono l’illustrazione concreta di un concetto astratto. L’idea di soppesare le alternative, per esempio, potrebbe essere accompagnata da una serie di gesti per mezzo dei quali entrambe le mani vengono alternativamente sollevate e abbassate come se fossero i piatti di una bilancia [McNeill 1980].
Secondo McNeill, i gesti costituiscono l’espressione diretta dei processi di pensiero che precedono il linguaggio esterno. Prima di generare una frase, un individuo costruisce per mezzo del linguaggio interno una rappresentazione di quello che deve essere espresso. 
Il linguaggio interno è un mezzo molto ricco e McNeill ha ipotizzato che esso sia spessoaccompagnato da immagini. Secondo McNeill, i gesti sono la manifestazione esteriore delle immagini che accompagnano il linguaggio interno, mentre il linguaggio esterno è un’articolazione del linguaggio interno.


La comunicazione non verbale

L’espressività non verbale si basa sulla capacità di usare in modo efficace il sorriso, lo sguardo, la vicinanza e il tono di voce. I malati di mente e le persone prive di capacità sociali si differenziano dagli altri perché parlano, sorridono, guardano e gesticolano di meno, ma si toccano di più.
I consulenti e i terapeuti che sorridono di più, guardano di più e in generale sono più espressivi sono considerati più cordiali e più competenti dai loro clienti (Leathers, 1986: Patterson, 1983). Gli allievi lavorano di più se gli insegnanti sorridono molto e questo effetto è più forte di quelli prodotti dalle gratificazioni verbali (Keith, Tomatzky e Pettigrew, 1974). Altri studi hanno riscontrato livelli più alti di attenzione quando gli allievi sono osservati di più, maggiore apprendimento quando gli insegnanti gesticolano di più, punteggi del Q.l. più alti quando gli esaminatori si inclinano guardano e sorridono più a lungo verso gli esaminandi e fanno più cenni col capo (Saigh. 1981).
Questo offre una spiegazione dell’effetto “Pigmalione in classe” (Rosenthal e Jacobson, 1968). Se si dice agli insegnanti che certi allievi sono intelligenti, essi sorridono, guardano e si volgono maggiormente verso di loro e questo produce un miglior lavoro da parte degli allievi (Mitchell, 1982).


La comunicazione non verbale e il modello delle capacità sociali

Un comportamento socialmente abile, richiede un uso corretto della comunicazione non verbale in un certo numero di passaggi. Il comportamento comunicazionale degli individui viene definito socialmente efficace quando vengono raggiunti gli obiettivi dell’interazione. Questi obiettivi possono essere interpersonali (ad esempio farsi degli amici) o professionali (ad esempio insegnare, persuadere).

L’interazione fra due o più persone ha luogo a diversi livelli, e qundi esiste una “doppiezzacomuniocativa” automatica. Essa in parte consiste in scambi di espressioni verbali significative, e in parte in una reciprocità di comportamento attentamente pianificata. A un livello meno intenzionale una persona può influenzarne un’altra rinforzandone il comportamento con brevi sorrisi e cenni del capo, di cui entrambi sono normalmente del tutto inconsapevoli. Il discorso è sincronizzato da una serie di piccoli cenni, spostamenti dello sguardo e borbottii, che spesso agiscono al di fuori del controllo cosciente.


Il comportamento non verbale e l’autorevolezza

 Da parte degli insegnanti e di altri che occupano posizioni di comando o specifici ruoli professionali, è necessario un certo grado di autorevolezza, che può essere costruita controllando la doppiezza comunicativa. L’autorevolezza può venire segnalata dalla sonorità della voce, dalla postura eretta, dall’espressione facciale e dall’atteggiamento corporeo, oltre che dalle istruzioni verbali.
Molte persone che lavorano a diretto contatto col pubblico devono essere capaci di controllare le proprie espressioni sia facciali sia di altro tipo, come le hostess sugli aerei. Gli insegnanti, i politici e i venditori di solito non possono esprimere atteggiamenti negativi verso gli altri, o stati di noia, collera e altre emozioni negative.

I medici e gli infermieri devono toccare i pazienti in modo rassicurante e senza sfumature sessuali. Si è visto che il contatto può avere positivi effetti terapeutici in particolare sulle pazienti. 
I venditori possono comunicare il valore dei prodotti tramite il «rispetto» con cui li maneggiano.


La comunicazione non verbale che accompagna il discorso

Tutte le abilità sociali implicano la conversazione. La maggior parte delle persone prive di abilità sociali e i malati mentali sono mediocri parlatori, e questo è in parte dovuto all’incapacità di utilizzare i segnali non verbali che accompagnano il discorso.
È importante, per esempio, controllare quanto parlano gli altri. Se l’altra persona non parla abbastanza, si possono fare più domande o usare più rinforzi (non verbali), come ad esempio cenni col capo, sguardi e suoni di incoraggiamento. È possibile controllare l’argomento della conversazione non solo con ciò che si dice, ma anche con risposte NV differenziate rispetto a ciò che l’altro dice.


La persuasione: gli indizi vocali

 

Nell’ambito della persuasione gli indizi vocali sono molto importanti. Le voci più alte, più rapide e più espressive sono considerate più persuasive. È necessario essere espressivi, naturali, cordiali, calmi e gentili. La scorrevolezza del discorso è importante. Troppi errori nel discorso riducono la percezione di credibilità di chi parla. Parce e Conklin (1971) trovarono che uno stile «erudito, spassionato ma con un forte coinvolgimento... e sincero» fu giudicato più attendibile e piacevole di uno stile appassionato ed emozionate.


Come migliorare la propria CNV

 La difficoltà a farsi amici del proprio o dell’altro sesso, è dovuta in parte a un fattore di scarsa espressività complessiva. Si può rimediare con l’addestramento dedicato all’aumento dellafrequenza dei sorrisi, degli sguardi e degli altri segnali (Argyle, 1983).
Nell’ambito della terapia coniugale si è posto l’accento sull’incremento dei messaggi gratificanti, sia di tipo verbale sia di tipo non verbale. È particolarmente importante evitare una reciprocità di segnali negativi; ed è importante addestrare i mariti ad esprimere affetto. 
Si può addestrare l’espressione facciale imitando fotografie di fronte a uno specchio e in seguito cercando di conservare un’espressione per un certo periodo di tempo, quindi rivedendo un videotape dell’esecuzione. Si può esercitare l’espressione vocale mediante nastri con la registrazione della voce.

Nella sfera non verbale l’insuccesso assume una varietà di forme: non prestare attenzione al feedback, non dare segnali di feedback, non usare i necessari segnali “non verbali” che accompagnano il discorso. A volte ci sono problemi di sincronizzazione, quando non si danno i segnali che indicano la conclusione dei discorso.
L’abilità professionale spesso comporta il ricorso a speciali sequenze di espressioni verbaliche devono essere combinate insieme ai comportamenti “non verbali” che le accompagnano. Parte della sequenza del vendere, per esempio, è costituita dal presentare un prodotto, provarlo o incartarlo.
Nel corso degli addestramenti interculturali può essere necessario preparare le persone alla bassa frequenza dì segnalazioni retroattive dei neri americani o all’alta frequenza dei giapponesi.


Leggere gli animali: una lezione di Konrad Lorenz

Gli atteggiamenti e i movimenti espressivi del professor Konrad Lorenz, la sua cinesica, cambiano di momento in momento secondo la natura dell’animale di cui parla mentre sta insegnando in aula.
Lorenz in un primo tempo è un’oca, pochi minuti dopo un pesce ciclide, e così via. Va alla lavagna e disegna rapidamente una creatura, poniamo un cane, vivo e incerto se attaccare o ritirarsi. Poi, con un brevissimo intervento di gesso e cancellino, una variazione nella nuca e nell’angolazione della coda, e il cane è chiaramente sul punto di attaccare.

Seguire una lezione del professor Konrad Lorenz significa scoprire che cosa facevano i cavernicoli primitivi quando dipingevano sulle pareti  delle caverne renne e mammut vivi e attivi. 
L’empatia di Lorenz per gli animali gli conferisce un vantaggio quasi sleale sugli altri zoologi. Egli è in grado di leggere molte cose, e lo fa in un confronto (conscio o inconscio) tra “ciò che vede fare all’animale” e “ciò che si prova a fare la stessa cosa”. Molti psichiatri usano lo stesso trucco per scoprire i pensieri e i sentimenti dei loro pazienti. Due descrizioni diverse sono sempre meglio di una sola.
E, misteriosamente, come gli uomini primitivi, egli non è capace di disegnare una figura umana: i suoi tentativi, come i loro, producono solo fantocci filiformi. Ciò che il totemismo insegna sul sé è profondamente non visuale.
Bateson G. “Mente e natura”, Adelphi


La comunicazione non verbale dei politici

Héritage e Greatbatch (1986) analizzarono i discorsi politici inglesi e trovarono che l’applauso dopo sottolineature retoriche dipendeva dall’uso di enfasi non verbale, ottenuta specialmente con lo sguardo terminale diretto ai pubblico, l’aumento della sonorità, l’aumento del tono o delle variazioni della sonorità e il cambio del ritmo o dei gesti. Quando venivano utilizzati due o più di questi elementi c’era una probabilità di applauso superiore al 50%, quando solo uno la probabilità era del 25%, quando nessuno, del 5%. 
Atkinson (1984) registrò numerosi discorsi politici inglesi e notò che l’applauso «spontaneo» era spesso provocato da alcuni accorgimenti retorici posti in sequenza di tre, accoppiandone due fra loro opposti, in entrambi i casi con l’appropriata enfasi e le dovute pause. 
Gli artifici retorici di maggior successo sono i «paragoni», le liste suddivise in tre parti e i “titoli energici” (l’oratore annuncia una dichiarazione o una promessa e quindi la pronuncia). Durante i passaggi che ricevettero il maggior numero di applausi usa movimenti delle mani vigorosi, ad esempio “loro dicono” (gesto con la mano sinistra), ma «noi diciamo…» (gesto con la mano destra).


I gesti tipici di Wittgenstein

Un giorno, quando ero studente universitario, stavo chiacchierando con un amico mentre facevamo la coda alla mensa del college. Lui mi guardò con aria curiosa, sempre più divertita; poi mi chiese: "Sei appena stato con Peter Brunet?". Era proprio vero, anche se non riuscivo a immaginare come avesse potuto saperlo. Peter Brunet era uno dei tutor più amati, e io ero appena arrivato da un’ora con lui. "Lo immaginavo", disse ridendo il mio amico. "Parli proprio come lui; la tua voce suona esattamente come la sua." Avevo, anche solo per poco, "ereditato" le intonazioni e i modi di parlare di uno stimato insegnante, di cui ora molto si sente la mancanza.
Anni dopo, quando divenni io stesso tutor, fui insegnante di una giovane donna che esibiva un’abitudine inusuale: quando le veniva rivolta una domanda che richiedeva un pensiero approfondito, era solita serrare gli occhi, abbassare la testa sul petto per poi restare ferma circa mezzo minuto, prima di rialzare il capo, riaprire gli occhi e rispondere alla domanda in modo fluente e intelligente. Ciò mi divertiva, e una volta, dopo cena, la imitai per i miei colleghi. Tra loro vi era un illustre filosofo di Oxford. Appena vide la mia imitazione, disse immediatamente: "Quello è Wittgenstein! Per caso il cognome della donna è... ?". Preso alla sprovvista, dissi che era così. "Immaginavo", disse il collega. "Entrambi i suoi genitori sono devoti discepoli di Wittgenstein." Il gesto era passato dal grande filosofo, attraverso uno o entrambi i suoi genitori, alla mia allieva. Pur avendone fatto per scherzo l’imitazione, credo di dovermi considerare un trasmettitore del gesto di quarta generazione. Ma da dove l’aveva preso Wittgenstein?
Dawkins R., “Il cappellaio del diavolo”, Raffaello Cortina Editore, pag. 160


Il controllo degli aspetti non verbali della propria espressione

La “doppiezza comunicativa“ si rivela essere una forma di controllo non solo del canale principale con cui si emettono informazioni indirizzate all’interlocutore ma anche di tutti i canali secondari. 
Il caso classico è che - mentre il “parlato” viene emesso quasi “in automatico” - dall’altro la mente tiene sotto controllo tutto quello che viene comunicato in maniera non verbale. La mente si aforza di atturae un controllo di livello superiore sul proprio comportamento. Cerca di vedersi” e di sentirsi” dal di fuori, analizza sensazioni e formula previsioni, cerca di farsi un quadro di tutta la situazione in cui avviene la comunicazione, tenendo sotto osservazione tutto quello che potrebbe suggerire negative comunicazioni non verbali.

Ad esempio potrebbe aver luogo un incontro di tre persone in cui due soltanto, per motivi del tutto leciti, sosterranno una conversazione. I due stanno parlando tra di loro, ma ciò non li esime dal tener presente che a questo dialogo è presente una terza persona, che magari per puri motivi di cortesia può essere invitata ad intervenire.
Emettendo una comunicazione volutamente non solo verbale, ad esempio mostrando delle immagini mentre si parla, è possibile deviare l’attenzione dell’interlocutore verso il nuovo oggetto visivo e non più verso la nostra “comunicazione non verbale”. 
Quindi: o si ha qualcosa da mostrare, oppure mostreremo noi stessi mentre comunichiamo. Ecco quindi l’importanza di tenere sotto controllo anche gli aspetti non verbali della propria espressione. In realtà mentre l’interlocutore vi ascolta, anche voi starete osservando questa persona che magari incontrate per la prima volta. Voi all’interno di un dialogo con la persona che incontrate, lascerete comunque spazio alle sue parole per capire sempre di più non solo lui che cosa vi vuole dire di concreto nel senso di “verbale”, ma anche se l’interlocutore vi sta dando delle informazioni dal punto di vista non verbale. 
La più classica delle informazioni da ricevere è: mostra interesse alle mie parole? 
Mi segue con gli occhi? Mi fornisce un senso di incoraggiamento a continuare con allocuzioni del tipo: “sì… certo… dica…”?
Osservare la vostra controparte nell’interazione, vi ricorda sempre di più che è l’interlocutore il vero centro di gravità della comunicazione.


Gettare delle ancore

Ci sono anche dei gesti, delle mimiche, dei movimenti delle sopracciglia, dei comportamenti, degli atteggiamenti dei corpo, dei rumori, che suscitano delle reazioni identiche: 
«quando sento questo mi ricordo, immancabilmente, tale situazione, ci ripenso».
Questi numerosi e diversi fenomeni non sono né misteriosi nè frutto del caso.
Sono delle ancore. Tecnicamente, un “‘ancora” è l’associazione di uno stimolus e di una risposta.
Tale fotografia suscita in voi tale ricordo:
—       stimolus: la fotografia;
—       risposta: il ricordo e le percezioni

Qualcuno viene a trovarvi e vi dice: «Io lavoro da sei mesi su un progetto. Ci passo tutto il mio tempo. Non penso ad altro per sessanta ore alla settimana. Mia moglie comincia a lamentarsi seriamente.., e in più rimango fermo... non ce la faccio.., non risolvo più niente, sono depresso».
Gli rispondete che ha fatto bene a venirvi a trovare per parlarne, che farete tutto il possibile per migliorare questa situazione e, mentre gli spiegate questo, vi siete alzato e avete messo la mano sulla sua spalla dopo aver evocato una situazione di riuscita.
Dopo di che, avete insieme un incontro veramente fruttuoso e il vostro interlocutore cambia: constatate che diventa di nuovo sereno, ritrova la sua energia e la sua motivazione.
Soddisfatto, vi alzate: «Abbiamo fatto un buon lavoro» e gli mettete la mano sulla spalla nello stesso punto.
E il ricordo agisce. Il vostro interlocutore si ritrova nella situazione iniziale e, senza capire bene quello che è appena successo, lo vedete di nuovo cambiare e uscire dal vostro ufficio con la schiena piegata, l’aria scoraggiata, il passo strascicato.
La mano sulla spalla corrisponde a un sostegno datogli quando parlava e quindi viveva il suo scoraggiamento.


Via: www.ilpalo.com

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