Saturday 20 December 2008

La persuasione: apprendere la comunicazione permette di cambiare modo di pensare

Facciamo attenzione a un solo frammento di tutta l’informazione

Troppo spesso nel prendere decisioni non utilizziamo tutti i dati disponibili, ma solo un elementoisolato e particolarmente rappresentativo. Un pezzo isolato d’informazione, anche se normalmente ci guida bene, può portarci a commettere stupidi errori che possono essere sfruttati da chi ha interesse a ingannarci.
Purtroppo il ritmo della vita moderna esige che spesso usiamo questo tipo di scorciatoie. 
Anche noi abbiamo una capacità limitata e, per una maggiore efficienza e velocità nella risposta, dobbiamo talvolta rinunciare al più elaborato e lungo procedimento decisionale che tiene conto di tutti i dati, ripiegando su un tipo di risposta più automatico e primitivo, basato su un unico elemento. 
Per esempio, quando decidiamo se acconsentire a una richiesta, spesso facciamo attenzione a un solo frammento di tutta l’informazione rilevante disponibile nella situazione
È per questo che ci basiamo tanto sui fattori di contraccambio, coerenza con gli impegni presi, riprova sociale, simpatia, autorità e scarsità, e lo facciamo in maniera così automatica: ciascuno di questi elementi di per sé fornisce un’indicazione molto attendibile per orientare la nostra risposta verso il sì o il no.
Il problema nasce quando, per qualche ragione, i segnali cessano di essere attendibili e ci inducono ad azioni e decisioni sbagliate. 
Cialdini Robert, “Le armi della persuasione”, Giunti, pag. 216




Chi vuole ottenere l’assenso alle sue richieste farà di tutto per ispirare simpatia.

 

Quali fattori fanno sì che una persona piaccia più di un’altra?
Ad esempio la bellezza. Il vantaggio che le persone di bell’aspetto hanno nelle interazioni sociali, è nettamente sottovalutato quanto alla portata e all’entità. C’è una risposta automatica e non ragionata alla bellezza fisica. È una risposta da “effetto alone” che si ha quando una singola caratteristica di una persona domina la percezione che gli altri hanno di lei, anche riguardo ad altri aspetti. Se la persona è “bella” ci interessa per principio.

Poi bisogna far attenzione alla somiglianza. Ci piacciono le persone che sono simili a noi.

Oggi occorre guardarsi soprattutto da coloro che sembrano essere uguali a noi: gli attuali tirocini per venditori consigliano spesso agli allievi di imitare la postura, l’umore e lo stile verbale del potenziale cliente. Somiglianze relative a tutte queste dimensioni conducono a risultati positivi, e noi ne veniamo inconsciamente persuasi.

 

Complimenti. Qui samo noi ad essere vittime di una “doppiezza comunicativa”.

Tutti noi siamo di un’ingenuità straordinaria di fronte all’adulazione. Pur essendoci dei limiti alla nostra credulità, specialmente quando abbiamo la certezza che l’adulatore cerca di manipolarci, di regola tendiamo a credere alle lodi e ci piace chi ce le propina, spesso anche quando le lodi sono chiaramente false.
Cialdini Robert, “Le armi della persuasione”, Giunti, pag. 139


Complimenti: tutti noi siamo di un’ingenuità straordinaria di fronte all’adulazione

Un noto comico, McLean Stevenson, una volta spiegò in questi termini con che trucco sua moglie l’aveva convinto a sposarla: 
«Mi ha detto che le piacevo». 
È una battuta, certo, ma è anche molto istruttiva.

Di regola tendiamo a credere alle lodi e ci piace chi ce le propina, spesso anche quando le lodi sono chiaramente false.
Abbiamo una reazione positiva così automatica ai complimenti che possiamo facilmente essere vittime di chi se ne serve anche scopertamente per ottenere il nostro favore. 
Cialdini Robert, “Le armi della persuasione”, Giunti, pag. 139


L’apprendimento di soluzioni può essere inconsapevole: i complimenti a chi veste di rosso

Chiediamo a qualcuno di sedersi di fronte a noi e di dire delle parole, tutte quelle che gli vengono in mente, facendo una pausa di due o tre secondi dopo ciascuna di esse per consentirci di scriverla. Se dopo ogni parola plurale (o dopo ogni aggettivo, o parola astratta, o un qualsiasi altro tipo di parola) diciamo «bene » o «giusto » mentre la scriviamo, o un semplice «mmm », oppure sorridiamo, o ripetiamo la parola plurale con piacere, la frequenza dei nomi plurali (o di qualsiasi altro tipo di parola scegliamo) aumenterà significativamente man mano che il soggetto continuerà a dire parole. La cosa importante qui è che il soggetto non è affatto consapevole di imparare qualcosa. Egli non si accorge che sta cercando un modo per fare aumentare i nostri segnali di incoraggiamento, nè è cosciente della sua soluzione di questo problema. 
Un tale apprendimento inconscio non è limitato al comportamento verbale. Agli studenti di una classe di psicologia fu chiesto di fare complimenti a ogni ragazza del college che indossasse abiti rossi. Entro una settimana la mensa universitaria era tutta uno splendore di rosso (e di generale affettuosità), e nessuna ragazza era consapevole di essere stata influenzata. 
Un’altra classe, una settimana dopo aver sentito una lezione sull’apprendimento e l’addestramento inconsci, sperimentò tali nozioni sul professore. Ogni volta che il docente, durante la lezione,passeggiava verso la parte destra dell’aula, gli studenti gli prestavano un’attenzione rapita e ridevano rumorosamente alle sue battute. E’ stato riferito che gli studenti furono in grado di addestrare il professore sino quasi a farlo uscire dall’aula, senza che egli notasse nulla di insolito.
[W. Eambert Gardiner, Psychology: A Slory of a Seareh. BrooksCole, Belmont, Ca1., 1970, p. 76]
Julian Jaynes, “Il crollo della mente bicamerale”, Adelphi pag. 55


I sei principi della persuasione

I sei principi che compongono questa sorta di sistema persuasorio sono elementi ben conosciuti dell’universo psicosociale: la coerenza-impegno, la reciprocità, la riprova sociale (o imitazione), l’autorità, la simpatia, la scarsità (o timore di restare privi di qualcosa). 
Cialdini Robert, “Le armi della persuasione”, Giunti, pag. 10


Se tanti altri hanno deciso di dare qualcosa, dev’essere la cosa giusta da fare

A bambini in età prescolastica che avevano terrore dei cani veniva fatto osservare per 20 minuti al giorno un coetaneo che giocava tranquillamente con un cane: questa semplice esibizione produceva un cambiamento così netto che dopo appena quattro giorni il 67% dei bambini accettava tranquillamente di entrare in un recinto insieme a un cane. 
I più efficaci risultavano brevi filmati in cui compariva non un bambino solo, ma vari bambini che giocavano ognuno col suo cane. 
A quanto sembra, il principio della riprova sociale, o dell’esaltazione sociale di un comportamentofunziona meglio quando essa è fornita dal comportamento di molte persone.

In un esperimento si presentò a un gruppo di bambini fra i più isolati, scelti in quattro scuole materne, un filmato con undici scene: in ognuna si vedeva all’inizio un bambino solitario (sempre diverso) che osservava a distanza un attività di gruppo e poi si univa attivamente ai coetanei, con soddisfazione di tutti. L’effetto fu stupefacente: quei bambini cominciarono immediatamente a partecipare alle attività di gruppo con una vivacità pari a quella di tutti gli altri. 
A quanto pare un filmato di 23 minuti, visto una volta sola, era bastato a ribaltare un modello di comportamento potenzialmente disadattivo. 
Tale è la potenza del principio di riprova sociale.
Cialdini Robert, “Le armi della persuasione”, Giunti, pag. 107


Il principio di contrasto

C’è un principio nella percezione umana, il principio di contrasto, che influisce sulla differenza che avvertiamo fra due cose presentate in successione. Semplificando si può dire che, se il secondo stimolo differisce abbastanza dal primo, noi tendiamo a vederlo più diverso ancora di quanto non sia in realtà. Così, se solleviamo prima un oggetto leggero e poi uno pesante, questo ci sembrerà più pesante di quanto ci sembrerebbe se l’avessimo sollevato per primo. Se stiamo parlando con una bella donna a una festa e poi si aggiunge un’altra che bella non è, ecco che ci sembrerà più brutta di quello che è veramente.
In un esperimento, studenti e studentesse d’università dovevano valutare su una fotografia l’aspetto fisico (in realtà assolutamente medio) di un rappresentante del sesso opposto: i giudizi risultavano più sfavorevoli se prima i soggetti avevano sfogliato le pagine pubblicitarie di un rotocalco, ricco di foto di belle modelle.
Cialdini Robert, “Le armi della persuasione”, Giunti, pag. 19


Autoinganno: il vestire i corpi

 

Chiunque abbia frequentato un corso di nudo di una scuola d’arte o una spiaggia per nudisti, non avrà tardato a rendersi conto che i corpi umani reali non sono all’altezza delle soavi immagini che ce ne facciamo. La maggior parte di noi sta meglio vestita
Nella sua storia della moda, lo storico dell’arte Quentin Bell ne offre una spiegazione:
“Se avvolgiamo un oggetto in qualche sorta di involucro, di modo che gli occhi lo desumano, piuttosto che vederlo, è probabile che la forma desunta immaginata sia più perfetta di come apparirebbe se venisse scoperta. Se drappeggiamo una coscia, un braccio o un seno, l’immaginazione li suppone di forma perfetta; non prevede le irregolarità e imperfezioni che l’esperienza dovrebbe farci aspettare.
L’esperienza ci insegna com’è, con ogni probabilità, un corpo, eppure siamo pronti a sospendere l’incredulità a favore delle finzioni del guardaroba. Anzi, ritengo che sulla strada dell’autoinganno siamo pronti ad andare ancora più in là. Quando ci infiliamo la nostra giacca migliore e vediamo come le nostre spalle, così poco suscettibili, ahimè, di far colpo, ne sono artificiosamente magnificate e idealizzate, saliamo, per un momento, nella stima di noi stessi.”
Pinker S., “Come funziona la mente”, Mondadori, pag. 291


Dire il perché aiuta la persuasione

 

Per arrivare alla persuasione bisogna massimizzare la capacità comunicativa delle proprie argomentazioni.

La psicologa Ellen Langer ha dimostrato sperimentalmente questo fatto per nulla sorprendente, chiedendo un piccolo favore alle persone in coda alla fotocopiatrice di una biblioteca: «Scusi, ho cinque pagine. Posso usare la fotocopiatrice, perché ho una gran fretta?». 
L’efficacia di questa richiesta-con-spiegazione è stata quasi totale: il 95% degli interpellati l’ha lasciata passare avanti nella fila. 
Si confronti questa percentuale di successi con i risultati ottenuti con la richiesta più semplice e scarna:
«Scusi, ho cinque pagine. Posso usare la fotocopiatrice?». 
In questa situazione acconsentiva solo il 60%. 
A prima vista sembra che la differenza decisiva fra le due formule sia l’informazione aggiuntivacontenuta nelle parole “perché ho una gran fretta”. Ma una terza formula ha dimostrato che le cose non stanno esattamente così. A quanto pare a far differenza non era la serie intera di parole di senso compiuto, ma solo la prima, “perché”. Invece di fornire una vera ragione per giustificare la richiesta, la terza formula si limitava a usare il “perché” senza aggiungere nulla di nuovo: «Scusi, ho cinque pagine. Posso usare la fotocopiatrice, perché devo fare delle copie?». Il risultato fu che, ancora una volta quasi tutti (il 93%) acconsentirono, anche se non c’era nessuna informazione nuova che spiegasse la loro condiscendenza. 
Come il “cip-cip” dei pulcini mette in moto la risposta automatica della mamma tacchina, anche se proviene da una puzzola impagliata, così la parola “perché” faceva scattare una risposta automatica di acquiescenza da parte dei soggetti della Langer, anche se dopo il “perché” non seguiva nessuna ragione particolarmente decisiva.
Altri esperimenti della stessa Langer dimostrano che in molte situazioni il comportamento umano non sempre funziona in maniera automatica, ma quello che stupisce è quanto spesso invece funzioni proprio così
Cialdini Robert, “Le armi della persuasione”, Giunti, pag. 13


Passare avanti  nella fila

È possibile un uso più intenso del cervello, basta tener conto di tutte le forze in gioco in una situazione. Prendiamo il fare la fila. Se hai cervello, puoi passare avanti, ma non nel modo rozzo e brutale che userebbe un bullo di periferia. La situazione della coda è stressante per tutti. Chi ti dovrebbe lasciar passare avanti, deve essere motivato a farlo. Insomma tu che vuoi passar avanti, devi pagare qualcosa. Cosa? 
Quale merce puoi travasare dalle tue “tasche” a quelle di chi sta davanti?
L’unica merce che non impoverisce chi la fornisce, ma può arricchire chi la riceve: devi promanare informazioni, diffondere notizie, correre il rischio di qualificarti.


Chiedere aiuto ad una persona specifica

Così quella persona è inserita nel ruolo di “soccorritore”: sa che c’è un’emergenza, sa che tocca a lui fare qualcosa e non ad altri e sa esattamente che cosa fare. Tutti i dati sperimentali disponibili indicano che il risultato di una richiesta così formulata sarà un’assistenza pronta ed efficace.
In generale, quindi, la strategia migliore è ridurre le incertezze degli astanti, con la richiesta più precisa possibile, rivolta a un singolo e non genericamente al gruppo: il compito deve essereassegnatoa qualcuno, altrimenti è troppo facile per ciascuno pensare che debba farlo, stia per farlo o l’abbia già fatto un altro. Di tutte le tecniche di persuasione descritte in questo libro, questa è forse la più importante da ricordare.
Non molto tempo fa ne ho avuto personalmente la prova, quando mi sono trovato coinvolto in un incidente stradale abbastanza serio. Eravamo feriti tutti e due, io e l’altro automobilista: lui riverso sullo sterzo senza conoscenza, mentre io cercavo di tirarmi fuori a fatica pieno di sangue. Eravamo al centro di un incrocio, sotto gli occhi di vari automobilisti fermi al semaforo. Mentre scivolavo sull’asfalto accanto alla portiera, abbastanza stordito, venne il verde e le auto cominciarono ad attraversare lentamente l’incrocio: tutti guardavano con aria perplessa, ma non si fermavano.
Ricordo di aver pensato: «Oh, no! Succede proprio come si legge nella ricerca. Non si ferma nessuno». Ma per fortuna sapevo esattamente che cosa fare. Mi tirai su per farmi vedere bene, puntai il dito verso un automobilista e gli dissi: «Chiami la polizia». A un secondo e a un terzo, sempre puntando il dito direttamente: «Presto, abbiamo bisogno di aiuto». Le risposte di queste persone furono istantanee: chiamarono subito la polizia e un’ambulanza, mi pulirono il sangue dal viso col fazzoletto, mi misero una giacca sotto la testa, si dichiararono disposti a testimoniare, uno si offrì di portarmi all’ospedale.
Non solo l’aiuto fu rapido e sollecito, ma anche contagioso. Vedendo le auto che si fermavano, anche quelli che arrivavano in senso opposto si fermarono per soccorrere l’altra vittima. Ora il principio della riprova sociale lavorava per noi: una volta messo in moto nella direzione giusta, il resto lo faceva da sé.
Cialdini Robert, “Le armi della persuasione”, Giunti, pag. 114 


Via: www.ilpalo.com


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